Il “vecchio PD” investe su Orlando

Huffington Post Goffredo Bettini Dirigente nazionale Pd 02/05/2017

La più grande sfida di Renzi è nel post primarie

Le primarie del Pd hanno visto una netta affermazione di Renzi.

Ha prevalso in tanti elettori un sentimento di solidarietà per il segretario sotto attacco da parte di Grillo, degli scissionisti, della destra e indebolito dalla sconfitta referendaria, che ha visto, tuttavia, più dell’80% dei votanti del Pd sostenere il SÌ.

Renzi ha dimostrato, ancora una volta, una vitalità politica impressionante, con la quale tutti dovranno fare i conti, compresa la minoranza del partito.

Guai a non considerare i quasi due milioni di partecipanti alle primarie e la stessa adesione al segretario uscente, un patrimonio, comunque, democratico e un segno di vitalità della politica.

Certo, rispetto al passato è diminuita l’affluenza; ma se consideriamo lo stato reale del Pd nei territori, l’evento del 30 aprile è stato persino una sorpresa.

In questo quadro il risultato di Emiliano testimonia un forte disagio nell’elettorato del Sud e quello di Orlando reca un grande significato politico.

Orlando, in tempi strettissimi, con poche forze di partito e istituzionali e senza alcun richiamo demagogico o sentimentale, ha conquistato un quinto dei consensi.

Un po’ solitariamente, rompendo la tradizionale prudenza della sua generazione, ha determinato uno spazio di idee, di cultura, di stile nella direzione politica, prezioso, nel futuro, per lavorare verso un partito plurale e per l’unità del centrosinistra.

L’area, spero non corrente, che Orlando ha alimentato, da oggi non si dovrà misurare con Renzi in una sorta di prolungamento stizzito del congresso e in un controcanto prevedibile su ogni decisione del fiorentino vittorioso.

Orlando, con chi gli sta vicino, deve parlare al paese, al centrosinistra, alla democrazia italiana.

Le sue idee saranno utili, molto utili, nei tempi che ci aspettano.

La prospettiva, infatti, è ancora molto incerta.

Renzi, ora, si trova di fronte ad un bivio: allargare il campo delle forze all’interno per un Pd plurale ed unire all’esterno il centrosinistra; oppure puntare ad una prova di forza solitaria del Pd in uno scontro campale con Grillo, per vincere e costruire dopo le elezioni un governo in Parlamento.

È inutile su questo tema pronunciare parole ambigue e di circostanze. Se, nella riforma della legge elettorale, il segretario spingerà per un premio alla lista avrà scelto la seconda strada; se, invece, prevarrà il premio alla coalizione, si aprirà la strada per un’ampia coalizione.

Tentare lo sfondamento autosufficiente, sembra a me, assai avventuroso.

Si produrrebbe una desertificazione attorno a noi, la rottura con una sinistra frammentata che a quel punto troverebbe la spinta politica ad unificarsi contro il Pd.

Inoltre la polarizzazione rischierebbe di far lievitare il consenso dei 5 Stelle e, soprattutto, impedirebbe che nei processi futuri una parte di quell’elettorato (potenzialmente di sinistra) possa venire a noi e al centrosinistra.

Anche se dovessimo vincere, saremmo costretti a governare con le larghe intese: proprio quello che l’avvento di Renzi intendeva liquidare. Si dice: ma questa è la vocazione maggioritaria.

E no: la vocazione maggioritaria non è una sorta di giacobinismo più o meno illuminato (a seconda delle opinioni) ma un campo aperto alle diversità e alle diverse culture e visioni.

Un Pd che si trasformasse davvero in una forma politica in grado di cedere un pezzo di sovranità agli iscritti e agli elettori, chiamando le persone nella loro singola responsabilità ad incontrarsi, partecipare, confrontarsi e poi decidere, sottolineo decidere, potrebbe davvero trasformare il partito in un campo largo e democratico abitabile per tanti, a sinistra e ambire, a quel punto, ad una sfida maggioritaria.

Ma questo salto non si è voluto fare nel passato.

E anche se ora si volesse intraprendere, il cammino sarebbe lungo e non esauribile prima del voto politico nazionale.

Su questi temi Orlando potrà dare il suo contributo di azione e di idee.

La sua generazione, sempre prudente e accomodante, ha battuto un colpo grazie al suo coraggio ed egli stesso, entrato nella competizione congressuale come un buon ministro, ne esce come un leader a tutto tondo: solido, sobrio, colto, non settario e profondamente unitario. L’ho votato e lo rivoterei mille volte.

 

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