La Cina guarda alla Germania e all’Europa nella guerra dei dazi

Limes online di Giorgio Cuscito 11/07/2018

La Cina cerca la Germania per contrastare gli Usa

A Berlino, Li Keqiang smorza le pressioni circa la penetrazione di Pechino nell’Europa di mezzo e cerca sostegno contro Trump sul fronte commerciale. La liberazione di Liu Xia gratifica Merkel.
Pechino sta rilanciando il rapporto con la Germania e l’Ue spinta da due propositi. Primo, respingere le critiche verso la Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta), considerata nell’ultimo anno da diversi paesi europei un pericoloso strumento di penetrazione cinese nel Vecchio Continente. Secondo, trovare sostegno contro gli Usa nell’ambito della guerra commerciale appena iniziata.

Ciò spiega perché tra il 5 e il 10 luglio il premier Li Keqiang abbia prima partecipato al settimo summit “16+1” tra Repubblica Popolare e paesi dell’Europa centro-orientale (acronimo inglese Ceec, di cui cinque non membri dell’Ue) e poi si sia recato in Germania per incontrare la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Il mini-tour europeo è stato realizzato strategicamente pochi giorni prima del vertice Nato (dove Trump ha accusato la Germania di essere controllata dalla Russia) e a circa una settimana dal summit Cina-Ue, che si terrà a Pechino il 16 luglio.

L’incontro tra Li e Merkel ha offuscato sul piano mediatico l’evento di Sofia. Merito dell’accento posto sulla necessità di preservare il libero commercio (frecciata a Trump), della tipologia di accordi firmati per l’occasione e dell’arrivo di Liu Xia in Germania. Pechino ha permesso alla moglie del defunto premio Nobel Liu Xiaobo di ricevere cure mediche a Berlino per contribuire alla distensione dei rapporti sino-tedeschi e distrarre (temporaneamente) l’attenzione internazionale dalle tensioni economiche sino-europee.

Li ha cercato di convincere Merkel che Pechino è seriamente intenzionata a favorire la presenza delle imprese tedesche nel mercato cinese. La collaborazione economica tra i rispettivi paesi è solida. La Cina è infatti il principale partner commerciale della Germania e le esportazioni tedesche verso la Repubblica Popolare sono in crescita.

Sono stati approvati 22 progetti durante l’incontro di Berlino. Il gigante dell’industria chimica tedesca Basf dovrebbe costruire entro il 2030 una fabbrica di produzione nel Guangdong per un investimento complessivo di dieci miliardi di dollari. Per la Germania è una buona notizia, visto che solitamente iniziative di questa portata sono realizzate in joint-venture con aziende cinesi. Allo stesso tempo, il buon esito del progetto non è scontato visto che a riguardo è stato solo firmato un memorandum d’intesa, il quale non è vincolante. Alibaba e Siemens costruiranno una piattaforma cloud congiunta per potenziare le risorse tecnologiche dell’industria manifatturiera cinese. Mentre Bmw e Baidu collaboreranno nel campo dello sviluppo delle vetture a guida autonoma.

Questi accordi sono in linea con il piano Made in China 2025 per trasformare la Repubblica Popolare in una superpotenza manifatturiera in grado di competere con gli Usa. Il settore delle autovetture deve essere monitorato con attenzione anche perché le aziende tedesche sono in prima fila per dominare il mercato delle auto elettriche in Cina.

Pechino ha anche invitato Berlino a valutare insieme nuove opportunità economiche in diverse aree del mondo, inclusa l’Europa centro-orientale. La Germania potrebbe accettare il meccanismo di collaborazione trilaterale con la Repubblica Popolare e i Ceec proposto a fine maggio dal governo cinese solo per monitorare meglio le attività della potenza asiatica.

L’Europa di mezzo, incassata fra tre mari (Mediterraneo, Nero e Baltico), è storicamente posta geopolitica tra Germania, Russia, Turchia e Usa: Berlino non rinuncerà alla propria influenza geoeconomica su paesi quali Polonia, Cechia, Slovacchia e Ungheria.

Al “16+1” di Sofia, Li non ha rinunciato al rilancio dell’Europa centro-orientale quale snodo delle nuove vie della seta. Tuttavia ha anche menzionato alcune misure che Pechino adotterà per incrementare le esportazioni di questi paesi verso la Cina e accrescere la credibilità dell’iniziativa. Tra queste, vi sono il rafforzamento dei controlli doganali, zone di dimostrazione della cooperazione economica dei 16+1 (quella sino-ungherese è stata svelata durante il summit) e uno snodo logistico per il commercio digitale.

In futuro potrebbe essere creato anche un centro europeo di formazione per le imprese cinesi sul funzionamento del mercato dell’Ue, il quale dovrebbe aiutarle a partecipare alle gare d’appalto e osservare i regolamenti in vigore.

Ad ogni modo, per ora la presenza economica cinese nell’Europa di mezzo è inferiore a quanto si pensi. Nel 2017 gli investimenti cinesi in quest’area sono stati pari a dieci miliardi di dollari, più del doppio di quelli di sei anni prima. La cifra tuttavia non è alta se paragonata ai 65 miliardi di dollari complessivi elargiti dall’Impero del Centro in tutta l’Ue. Il commercio tra Cina e paesi dell’Europa centro-orientale è stato invece pari a 68 miliardi di dollari, cifra marginale rispetto all’interscambio totale sino-europeo (514 miliardi di dollari nel 2017). Inoltre, l’Ue è ancora il principale partner economico dei paesi dell’Europa centro-orientale.

Pechino vuole che la penisola balcanica diventi la piattaforma di approdo nel Vecchio Continente dei flussi di merci da e per la Cina lungo le nuove vie della seta marittima. I binari della China-Europe Land-Sea Express Line dovrebbero unire il porto greco del Pireo (controllato dalla cinese Cosco) al cuore dell’Europa occidentale passando per Macedonia, Ungheria e Serbia. Nel 2017 l’iniziativa ha subìto delle battute d’arresto legate alla trasparenza e alla sostenibilità della costruzione delle infrastrutture realizzata dalle aziende cinesi.

L’Italia è interessata allo sviluppo di questa rotta perché limiterebbe le sue possibilità di avere un ruolo di rilievo lungo le nuove vie della seta. I porti di Trieste, Genova, Venezia non possono competere con il Pireo in termini di dimensioni. Tuttavia potrebbero guadagnarsi una fetta di traffico marittimo valendosi della vicinanza geografica all’Europa del Nord e del collegamento con i corridoi del Trans-European Transport Network (Ten-t), che entro il 2030 dovrebbero irrobustire i collegamenti infrastrutturali nel Vecchio Continente.

È probabile che anche i prossimi summit “16+1” siano abbinati ad altri eventi sino-europei per ammortizzare le pressioni mediatiche nei confronti della Cina. Pare invece remota l’ipotesi di renderli biennali. La posticipazione dell’evento darebbe adito a coloro che disapprovano le strategie di Pechino.

Lo scorso aprile, la testata tedesca Handelsblatt aveva affermato che tutti gli ambasciatori dei paesi Ue tranne quello ungherese avevano firmato un documento contro la penetrazione commerciale cinese in Europa e che questo era stato realizzato in preparazione dell’imminente vertice Cina-Ue. Anche alla luce di questa notizia, il summit potrebbe dirci se Berlino e Bruxelles sono realmente soddisfatte degli sforzi fatti da Pechino per recuperare la loro fiducia.

Le comuni tensioni con gli Usa potrebbero favorire un riavvicinamento, ma difficilmente le perplessità veterocontinentali circa i possibili usi da parte di Pechino delle nuove vie della seta saranno superate nel breve periodo.

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