Tra neoliberismo e neopopulismo, Cgil Congresso al buio

L’Espresso Carmine Fotia 19/1/2019

 Il dopo Camusso. Thriller Cgil

Il sindacato rosso arriva spaccato come una mela al congresso, mai successo. Tra Maurizio Landini e Vincenzo Colla ci sono pochi voti di differenza. E due anime diverse . L’ex leader della Fiom è considerato “movimentista”. Il suo avversario vuole costruire la sinistra post Pd

Vuoi una previsione? Impossibile. Se votassero gli iscritti, Maurizio vincerebbe a man bassa. Invece, a causa del sistema di voto e degli errori commessi dal gruppo dirigente uscente, la partita è totalmente aperta». Così dice un landiniano duro e puro.
Doveva essere un congresso scontato: un documento unitario, una candidatura alla segreteria avanzata dalla stragrande maggioranza del gruppo dirigente tre mesi prima, la fascinazione di una leadership carismatica e popolare, quella di Maurizio Landini. E invece il prossimo congresso della Cgil che si terrà a Bari dal 22 al 27 gennaio è diventato un thriller politico appassionante e dall’esito imprevedibile. Maurizio Landini o Vincenzo Colla? Il leader pop o il riformista pacato?
Un pasticcio, se la si vuol vedere con pessimismo. Oppure l’opportunità, sia pure un po’ velata da questioni di “metodo”, di una vera discussione politica nella più grande organizzazione sociale italiana, il cuore pulsante di una sinistra reale, fatta di uomini e donne in carne ed ossa. Dei pilastri che reggevano il mondo della sinistra italiana – essendo le Coop e le associazioni di categoria ormai concentrate solo sul mercato, il partito liquefatto nell’era della disintermediazione – la Cgil forte dei suoi cinque milioni e mezzo di iscritti, è l’unica rimasta in campo. E, interrogandosi su se stessa, dà corpo a una discussione sul destino della sinistra che nel congresso del Pd appare invece sepolto da una spessa coltre di rancori e vendette.
«La Cgil è spaccata come una mela. Questa è la verità. E la colpa è di chi ha messo il nome del candidato all’inizio del percorso congressuale e non alla fine. È stato un intervento a gamba tesa», è la preoccupazione confidata ai suoi dallo “sfidante” Vincenzo Colla alla vigilia di un congresso infuocato, forse il più duro nella centenaria storia della Cgil.

«La candidatura di Landini è stata decisa dalla stragrande maggioranza della segreteria secondo le regole: lui non si è candidato e quindi, anche volendo, non può fare nessun passo indietro», replicano dalla segreteria uscente.
Per la Cgil è una prima volta, spiega Sergio Cofferati, che della confederazione è stato leader carismatico negli anni del berlusconismo: «Non era mai successo che la Cgil scegliesse il suo segretario al congresso, salvo che quando fu eletto Antonio Pizzinato dopo Luciano Lama, ma allora c’era un accordo: Bruno Trentin sarebbe dovuto passare al partito, Sergio Garavini prendere la guida dei metalmeccanici. Si evitava di scegliere il segretario nel congresso per evitare fratture e tensioni che poi sarebbe stato difficile ricomporre. Ora però è successo: chiunque vinca lo farà di misura e dunque bisogna già pensare a come ricomporre, a evitare che le divisioni si radicalizzino e si ripropongano nelle strutture».
Il meccanismo con cui si elegge il segretario, spiega un’altra fonte landiniana doc, fu scelto tre anni fa, al culmine dello scontro tra Fiom e Cgil, cioè tra Maurizio Landini e Susanna Camusso (oggi la principale sponsor dell’ex leader metalmeccanico) «proprio per impedire che Landini potesse vincere». I sostenitori di Landini allora proponevano che ci fosse una sorta di elezione primaria, riservata però ai soli iscritti. Fu preferita una strada diversa, affidando la scelta del segretario a un’Assemblea nazionale eletta dal congresso rispecchiando i rapporti di forza emersi dai congressi regionali e di categoria. Ciò che rende complicato il tutto è che le candidature in campo non sono espressione di due documenti diversi, poiché sia Landini sia Colla si riconoscono nel documento “Il lavoro è” votato dal 98 per cento degli iscritti, essendo andato circa il 2 per cento al documento della sinistra più radicale. A congressi ancora in corso la segreteria, su proposta di Susanna Camusso, approva a stragrande maggioranza la candidatura di Maurizio Landini, contro il parere di due membri della segreteria, Vincenzo Colla e Giorgio Ghilessi, i quali affermano che, essendo la nuova assemblea nazionale a dover eleggere il segretario, le candidature devono essere fatte in quella sede, non prima. Su questa posizione si schierano diverse categorie e strutture regionali.
Dunque, riassumendo c’è un solo documento, ma i candidati alla fine saranno due, e due sono le visioni della Cgil del futuro, pur se celate da dispute procedurali. Come fare a stabilire le forze in campo? Poiché né nei congressi regionali né in quelli di categoria si è votato su documenti contrapposti l’unico sistema è riferirsi alle dichiarazioni di voto dei segretari di categoria e regionali su un ordine del giorno (poi ritirato) contrario alla candidatura di Landini. E il risultato, che abbiamo verificato con le fonti istituzionali della Cgil, è clamoroso. La Cgil si divide esattamente a metà tra Landini e Colla. Prima di vedere i dati una breve ma fondamentale premessa: il sindacato dei pensionati, lo Spi, che conta 2.700.000 iscritti, ovvero il 50 per cento degli iscritti totali della Cgil, per statuto, “cede” la metà dei delegati cui avrebbe diritto alle categorie più deboli. La ragione è semplice: se li mantenesse tutti, il voto dei pensionati prevarrebbe su quello dei lavoratori attivi decidendo da solo il leader del sindacato. E ora i numeri: le categorie schierate con Landini sono Metalmeccanici, Funzione Pubblica, Agroalimentare, Commercio, Scuola, Lavoratori atipici, Credito. Con Colla: Pensionati, Edili, Chimici e Tessili, Comunicazione, Trasporti. Tra le regioni le due più grandi si sono divise: la Lombardia con Landini, l’Emilia Romagna con Colla. Il risultato è che, sommando solo i voti delle categorie depurato del 50 per cento il dato dei pensionati, con Colla sarebbero 2.250.000 iscritti, con Landini 1.964.251. Si tratta di un’indicazione importante perché certifica che la Cgil è profondamente divisa e in sostanziale equilibrio. Tuttavia non è una cifra definitiva, perché il voto sul segretario sarà a scrutinio segreto e nessuno può garantire che tutti i delegati di una categoria o di una struttura regionale votino come indicato dal loro segretario.
La partita è apertissima, ma qual è la posta in gioco? Che volto avrebbe la Cgil di Landini? E quella di Colla? Dal gruppo dirigente “camussiano”, in ossequio alla caratura ecumenica che si è voluto imprimere alla candidatura, dicono: «Non c’è una Cgil di Landini, c’è la Cgil che è una sola. E che deve restare autonoma dalla politica». In realtà i landiniani duri e puri lamentano che proprio questa impostazione ecumenica abbia un po’ snaturato la figura di Landini, la carica innovatrice della sua leadership. Colla, parlando con i suoi, rilancia la sfida: «Due Cgil diverse, due idee radicalmente differenti su come stare nel nuovo sistema politico italiano. E se vogliono le firme sotto la mia candidatura gliene porto tante, ma proprio tante».
Dall’alto della sua esperienza e – ci tiene a precisarlo – senza voler parteggiare per l’uno o per l’altro, Sergio Cofferati spiega: «Dal momento che il documento è uno solo e quindi le scelte programmatiche sono comuni, è inevitabile che le differenze la faranno le biografie politiche. Sono entrambi metalmeccanici, entrambi emiliani, entrambi figli del sindacato, ma nel sindacato dell’Emilia Romagna ci sono sempre state componenti più radicali, come quelle della Fiom di Sergio Sabattini (alla cui scuola è cresciuto Maurizio) e più riformiste, come quelle di Luciano Lama, cui si ispira Vincenzo. Mi pare quindi che il confronto sia tra una risposta più radicale e una più riformista, non solo ai problemi del sindacato, ma anche alla crisi della sinistra di cui la Cgil resta un pilastro. Con l’avvertenza però a non semplificare troppo né da una parte né dall’altra: io, per esempio, ero considerato e mi sono sempre definito un “comunista di destra”, eppure ho poi gestito una delle fasi più conflittuali e, se si vuole, movimentiste della Cgil».
La discussione in corso riguarda comunque un futuro che non appartiene solo alla Cgil: una sinistra frantumata, dispersa, divisa in tribù contrapposte potrebbe ritrovare nell’esito di questa discussione una bussola, perché Landini e Colla offrono risposte diverse ma radicate in una base sociale e non nell’astronave dei social, alla crisi di una sinistra stretta tra neoliberismo e neopopulismo. Semplificando, ma senza fare caricature di due leader sindacali diversi ma entrambi solidi e credibili, vediamo le due sinistre possibili a seconda che vinca l’uno o l’altro. Per Landini il radical: Corbyn, Sanders, Podemos. Per Colla il riformista: Lama, Trentin, l’idea di una sinistra socialdemocratica rinnovata.
Landini non crede che la pur necessaria ricostruzione di un campo del centrosinistra possa avvenire nel perimetro della attuali forze politiche. Il suo interesse per il congresso del Pd è sostanzialmente nullo. Vediamo cosa scrive sul blog “Fortebraccio”, animato da landiniani duri e puri, uno dei suoi principali sostenitori, Christian Franceschini Sesena, segretario nazionale della Filcams, il sindacato del commercio, attualmente la più grande categoria della Cgil tra i lavoratori attivi: «Si dice che a Colla facciano riferimento i riformisti e a Landini i massimalisti o movimentisti», scrive il segretario della Filcams. «Sarebbe opportuno finalmente cominciare a dare una ripulita a queste parole, e a ricollegarle al loro senso autentico. Riformista è chi nel sindacato cerca soluzioni ai problemi , avanzando proposte, facendo accordi che traducano in fatti concreti, principi e idee correttamente coniugati al contesto e all’epoca. Siamo tutti riformisti se aspiriamo ad essere degni sindacalisti. Infine a dividere i due contendenti sarebbe il rapporto con la politica: Landini subirebbe il fascino del movimentismo a Cinque Stelle. Colla attualmente non iscritto al Pd sogna di divenire, alla guida della Cgil, promotore e attore della ricostituzione di un grande partito di massa a sinistra. Al congresso della più numerosa categoria della Cgil (la mia) non c’erano politici. Al congresso della Fiom Cgil c’era Ilaria Cucchi. Al congresso delle categorie che sostengono il candidato “riformista” Debora Serracchiani, Maurizio Martina, Teresa Bellanova, Roberto Speranza e Carla Cantone. Esiste un plastico problema a casa nostra rispetto alla elaborazione del lutto della fine della cosiddetta cinghia di trasmissione. Il Jobs Act, la disintermediazione violenta e sguaiata di Renzi, hanno segnato una cesura enorme, che le lavoratrici e i lavoratori non perdonano, probabilmente perché l’hanno subita in prima linea, e che molti di noi invece ancora ridimensionano con una certa qual dose di cinismo davvero dissonante. Si fatica enormemente ad essere autonomi sul serio da uno schema di gioco consolidato, anche quando il gioco è cambiato e la palla è da anni in tribuna. Intendiamoci: un partito forte a sinistra chi non lo vorrebbe? Ma non può essere il rimpasto degli avanzi riscaldati che questa stagione politica disgraziata ci consegna. Landini infine sarebbe populista, cavalcherebbe a sinistra l’onda di Di Maio e Salvini. Ultimamente sono queste le argomentazioni che, fra chi non lo ama, vanno per la maggiore. Il carisma non credo sia un difetto per uno che si appresta a guidar una organizzazione di quasi sei milioni di iscritti e sul populista anche qua sarebbe utile igienizzare il termine. Di certo l’ex saldatore è popolare, il più popolare sindacalista dai tempi di Cofferati, una popolarità che è anche e soprattutto responsabilità gravosa, perché basta pochissimo con questi chiari di luna per passare dagli altari alla polvere. Il popolo della Cgil non è una massa anonima. È un popolo di dirigenti che con la loro passione tengono in vita l’organizzazione; sarebbe forse opportuno portare un minimo di rispetto in più per il loro entusiasmo e farsi una sacrosanta ragione se quell’entusiasmo non siamo tutti capaci ad accenderlo».
La risposta dei sostenitori di Colla, su Il Diario del Lavoro, è di Roberto Ghiselli, segretario confederale: «Non dobbiamo rinunciare a pensare al sindacato dei lavoratori come una “grande istituzione democratica” del Paese, come lo è sempre stato nella sua storia, dalla liberazione alla ricostruzione del Paese, dalle lotte per i diritti sociali e del lavoro degli anni 60-70, al contributo dato per isolare e sconfiggere il terrorismo negli anni di piombo. Con la sua capacità di assumersi responsabilità rilevanti, a volte anche impopolari, come con la “linea dell’Eur” alla fine degli anni ’70, o nella crisi degli anni ’90, con le scelte che ci hanno consentito di vincere la sfida continentale. Una rappresentanza sociale del lavoro forte, e fortemente ancorata ai valori solidaristici e comunitari, non può esistere senza una altrettanto forte rappresentanza politica di quei valori e di quell’orizzonte ideale. Non mi riferisco ad una rappresentazione valoriale statica, “ottocentesca” direbbe qualcuno, ma a quella che trova anche nelle ragioni di oggi le coordinate che danno continuità e senso ad una storia. Mi riferisco ad esempio a come combinare in forme nuove il binomio dimensione collettiva e libertà individuali, il tema dei diritti universali e il riconoscimento delle diversità, il tema dell’uguaglianza e del merito, la questione del possesso e dell’utilizzo dei “data base”. Su queste cose il pensiero di Bruno Trentin può ancora dirci molto. Ma credo anche che il sindacato, la Cgil in particolare, non possa limitarsi ad auspicare questa evoluzione, da spettatore passivo, ma debba giocare un ruolo in questa partita. Soprattutto ora che, dopo la sciagurata fase della disintermediazione e la débâcle elettorale, a sinistra una discussione si è aperta e un processo nuovo potrebbe avviarsi. Non certo per sostituirsi ad altri nelle loro funzioni ma per sollecitare ed orientare questo processo, in modo autonomo, anche critico e polemico. Dico questo anche perché, vorrei sbagliarmi, il vento dell’antipolitica inizia a spirare troppo vicino a noi, alimentato, magari inconsapevolmente, anche quando si inizia a declinare in modo inappropriato il tema dell’autonomia del sindacato dalla politica. Che invece è una cosa seria di cui dobbiamo essere gelosi. Nel rapporto tra la sinistra politica e il sindacato sino ad ora hanno prevalso i picconatori. Credo sia arrivato il momento di far entrare nel cantiere i progetti e le opere di ricostruzione, visto che all’orizzonte si stanno materializzando ben altre, angoscianti, minacce».
Tutto può dunque accadere. In extremis Colla rilancia una proposta dello Spi: «Una consultazione tra i membri dell’assemblea nazionale. Chi arriva prima, anche di un solo voto, diventa il candidato di tutti». Oppure, per la prima volta nella storia della Cgil, si voterà su due candidature contrapposte.

 

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