la Repubblica di Federico Rampini 22 Gennaio 2019
In 26 guadagnano come la metà povera del pianeta, ma di disuguaglianze si parla meno
Se l’1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio, si potrebbe salvare la vita a 100 milioni di persone
Oggi 10mila donne e uomini saranno condannati a morte dalla mancanza di accesso a cure sanitarie e 262 milioni di bambine e bambini non potranno andare a scuola. Il rapporto Oxfam 2019 aggiorna le nostre conoscenze sullo stato scandaloso delle diseguaglianze. Se l’1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio, si potrebbe salvare la vita a 100 milioni di persone e permettere a tutti i bambini di avere un’istruzione nel prossimo decennio.
La questione delle diseguaglianze sembra aver perso attenzione nelle opinioni pubbliche, rispetto agli anni successivi la grande crisi del 2008. Allora nacquero movimenti come Occupy Wall Street che denunciavano un modello di economia squilibrato nel concentrare ricchezze a beneficio dell’un per cento. Studi importanti, per esempio da parte di Thomas Piketty e Branko Milanovic, approfondirono le nostre conoscenze sulle cause di quegli eccessi. Tra le quali spicca il ruolo del fisco, norme scritte su misura per legalizzare l’elusione fiscale delle multinazionali e dei loro top manager. Quella stagione del dibattito pubblico fu breve e poco feconda in termini di riforme.
La pressione fiscale rimane concentrata sul ceto medio, poco progressiva, con prelievi punitivi sul lavoro. La rabbia di un ceto medio impoverito ha sconvolto la geografia politica delle democrazie occidentali, dall’America al Regno Unito e dalla Francia all’Italia, ma ha inciso pochissimo sulle vere ingiustizie. I sistemi fiscali restano disegnati su misura per gli interessi delle oligarchie del denaro. Il tema delle diseguaglianze globali richiede invece un’altra constatazione. Le distanze di reddito tra nazioni sono diminuite poderosamente. La causa sta nel miracolo cinese e del sud-est asiatico, seguito dal decollo indiano. In quell’area oltre due miliardi di persone sono uscite stabilmente dalla miseria. Gran parte dell’Asia era a livelli africani al momento della decolonizzazione, oggi ha scavato un divario enorme. Attraverso l’Etiopia mentre scrivo, e il tema s’impone di prepotenza.
Il buco nero dello sviluppo contemporaneo si situa in Africa e in Centroamerica. Se non fosse per queste aree potremmo affermare che le diseguaglianze tra aree geografiche stanno diminuendo in modo fenomenale. L’Africa, che per tassi di crescita demografica ha sorpassato decisamente l’Asia, ha la tentazione d’importare non solo le autostrade e le ferrovie made in China, ma il modello cinese tutto intero. Questo chiama in causa la qualità delle classi dirigenti, la loro capacità di fornire risultati, e il tema della corruzione. Anche Cina e India, Indonesia e Vietnam (sistemi politici diversissimi tra loro) soffrono di corruzione, ma non a livelli tali da depredare sistematicamente le loro popolazioni, inaridire le risorse umane, soffocare lo sviluppo, rallentare la modernizzazione.
L’Occidente condizionato dai complessi di colpa post-coloniali non ha affrontato efficacemente la questione della corruzione africana e le colpe delle classi dirigenti locali. A modo suo, il neocolonialismo cinese sta sperimentando a tentoni un nuovo approccio. Nulla garantisce che sia migliore del nostro, a giudicare dai primi bilanci sul terreno.