Roma, il nuovo laboratorio delle mafie e un grande mercato della cocaina

La Repubblica di Gianluca Di Feo 19 Febbraio 2019

 

Pignatone e Prestipino: “Per tutte le mafie Roma è il futuro. Città invasa dalla cocaina”

 

“Modelli criminali” è il saggio scritto dal procuratore della capitale e dal suo aggiunto. “Qui la convivenza tra clan del Sud e boss locali crea una sorta di evoluzione della specie. Ognuno impara dall’altro”

“Roma offre agli occhi delle organizzazioni criminali un mercato ideale. In un’intercettazione un uomo di ‘ndrangheta la definisce ‘il futuro'”. A tre mesi dalla pensione, il procuratore Giuseppe Pignatone raccoglie quarant’anni di esperienza nella lotta alle mafie in un volume scritto con l’aggiunto Michele Prestipino. Hanno lavorato assieme a Palermo, a Reggio Calabria e nella Capitale. E in Modelli criminali, appena pubblicato da Laterza, sintetizzano la visione di come siano cambiate le mafie. Analizzano il declino di Cosa nostra siciliana, descrivono l’ascesa della ‘ndrangheta calabrese e la sua capacità di colonizzare nuovi territori. Per poi concentrarsi su Roma.

Pignatone: “La particolarità e la complessità di Roma nasce da un fattore quantitativo: è una metropoli con tre milioni di abitanti, un territorio immenso, dove sono presenti investimenti leciti e illeciti, nazionali e stranieri. Per le mafie è il posto dove fare affari senza dare nell’occhio. Per questo nella Capitale da tanto tempo c’è un accordo per evitare scontri armati significativi e privilegiare il business. In tutta Roma lo scorso anno ci sono stati solo 10 omicidi e nessuno era legato a dinamiche mafiose”.

Voi scrivete che questi accordi criminali richiedono dei garanti. Chi sono?

Pignatone: “Abbiamo individuato figure di questo tipo nella sfera criminale. Fanno valere il loro prestigio, a volte dispongono di una forza attiva ma sono comunque in grado di farsi rispettare. Nel caso di Massimo Carminati, è lui stesso che si attribuisce un ruolo chiave nella famosa intercettazione del ‘Mondo di mezzo'”.

Prestipino: “Altra cosa è chi fa da garante tra organizzazioni criminali e pezzi della società. Queste figure a Roma svolgono una funzione importantissima: gestiscono equilibri, affari, commistioni. Se controllo una piazza di spaccio e ho liquidità, una parte la devo investire e per farlo ho bisogno di altre figure professionali. Quelle che mettono in contatto i due mondi”.

Oltre a Carminati ne avete individuati altri?

Pignatone: “Non emergono perché non sono soggetti in monopolio, non hanno un ruolo apicale come quello riconosciuto a Carminati dalla sentenza di appello. Ma se andiamo a prendere i processi per mafia, ci sono arresti di commercialisti, avvocati, esponenti delle forze dell’ordine. Gente senza la cui collaborazione le organizzazioni non potrebbero svilupparsi”.

Prestipino: “A Palermo si parlava di area grigia. Ma con caratteristiche differenti c’è anche a Roma. Ed è estesissima. C’è la disponibilità a trattare, fare affari, dare notizie sulle indagini. C’è molta disinvoltura e questo alimenta l’economia criminale. Che altera il mercato con soldi sporchi e sconfigge gli operatori onesti”.

Nel vostro libro Roma appare come il laboratorio di una mafia nuova. Parlate della collaborazione tra clan meridionali e gruppi capitolini: uno scambio inedito che rende più forti entrambi.

Prestipino: “Al Sud non può esistere: c’è una sola organizzazione sul territorio. Invece dal punto di vista criminale Roma è una città aperta. Il fatto che qui convivano clan siciliani, calabresi, campani ha determinato una serie di soluzioni originali. Il boss “straniero” offre il suo sapere criminale; l’autoctono le entrature e la conoscenza dei luoghi. E la contaminazione genera una sorta di evoluzione della specie. Nelle indagini su normali piazze di spaccio, come a Tor Bella Monaca, abbiamo iniziato a sentire i capi ragionare come mafiosi. Usano linguaggio e concetti tipici: dove li hanno imparati? Dal calabrese, dal siciliano, dal camorrista che frequentano per importare cocaina. Questo fa nascere un problema serio, che influisce sulla trasformazione sociale e si sviluppa nel degrado delle periferie romane”.

Ci sono poi le “piccole mafie”, nate e cresciute a Roma: avete ottenuto il riconoscimento in numerose sentenze del reato di mafia per gli Spada, i Fasciani, i Casamonica. Quando le vostre indagini eliminano un gruppo criminale, creano un vuoto. Ma se il resto della società non riempie quegli spazi, il problema tornerà a ripresentarsi.

Pignatone: “La nostra attività è di tipo repressivo: taglia l’erba ma non semina. Fornisce elementi di conoscenza a chi li vuole apprendere e utilizzare. Dopo che l’azione giudiziaria ha rimosso l’ostacolo, se non cresce nulla di buono e di sano, prima o poi si ripristineranno le condizioni negative”.

Prestipino: “Io credo che non si rifletta abbastanza su un dato in continua crescita: la quantità del consumo di stupefacenti a Roma. C’è una forbice. Da un lato la perdita d’identità della periferia: la distruzione dei ceti medi, la scomparsa dei corpi intermedi e la mancanza di luoghi aggregazione. Dall’altro è esploso il consumo di droga, soprattutto cocaina. Ci sono piazze di spaccio che funzionano senza sosta: a Tor Bella Monaca le auto fanno la coda giorno e notte per comprare le dosi. Dietro i comportamenti criminali più violenti, come la sparatoria contro Manuel Bortuzzo, c’è la cocaina. Ma oggi non c’è una politica di prevenzione. E questo non è compito né della procura, né delle forze dell’ordine”.

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