C’era una volta il Regno Unito…

La Repubblica 27 dic 2020 di Andrea Bonanni
Una Brexit senza vincitori

La variante inglese del Covid ha dato il colpo di grazia alla variante inglese della Brexit. Con migliaia di Tir

bloccati sulle due sponde della Manica dalla chiusura delle frontiere per motivi sanitari, e gli scaffali dei supermercati semivuoti per le feste di fine anno, il governo britannico ha avuto un assaggio di quello che avrebbe potuto comportare una Brexit senza accordo. E alla fine ha dovuto piegarsi accettando quasi tutte le condizioni imposte dall’Europa.

È il principio di realtà a prevalere sull’ideologia sovranista: la Gian Bretagna può uscire dalla Ue, ma non può uscire dall’Europa, che assorbe il 47 per cento delle sue esportazioni e rifornisce i suoi negozi, i suoi supermercati e le sue industrie alimentando l’economia. Un tempo, quando la nebbia fermava i traghetti sulla Manica, la Bbc annunciava orgogliosamente: «Il Continente è isolato».

La variante inglese del Covid ha confermato il dato geografico che è la Gran Bretagna ad essere un’isola, e il dato politico che è Londra ad essere più vulnerabile di Roma, Berlino o Parigi.

Che si sia arrivati ad un’intesa, in fondo, non sorprende.

Già un’altra volta, quando si trattò di definire il pre-accordo di divorzio e lo status del Nord Irlanda, Boris Johnson aveva finito per accettare all’ultimo minuto le stesse condizioni che aveva respinto pochi mesi prima facendo cadere il governo di Theresa May.

È difficile capire se anche adesso abbia aspettato l’ultimissima ora per puro amore di drammatizzazione, oppure per una trumpiana tendenza a non ammettere la sconfitta. Comunque sia, per fortuna di tutti, l’accordo c’è. Ora si può sperare che, questo divorzio, già così doloroso, possa avvenire in modo consensuale e con regole civili e mutualmente vantaggiose.

Del resto, la vittoria di Biden in America non solo ha privato i brexiteer di un potente alleato come Donald Trump, ma ha reso più complicato per Johnson perseguire l’idea di un Occidente separato tra sfera anglosassone e sfera europea che il premier britannico ha per un certo tempo accarezzato. Con la nuova Casa Bianca, l’Occidente è destinato a ritrovare la propria identità ideologica nella difesa dei principi democratici. E in questo ambito gli interessi britannici, per motivi sia geografici sia economici, sono più vicini a quelli europei che a quelli degli altri Paesi anglosassoni. Ma occorre fare comunque attenzione. La Brexit, sia pure concordata, avrà effetti negativi per i britannici ma anche per noi europei. E, pur ammettendo che Johnson rispetti alla lettera le duemila pane del trattato senza rimangiarsi gli accordi, come ha cercato di fare sull’Irlanda del Nord, resterà Oltremanica una tendenza centrifuga con cui dovremo fare i conti. Per l’Europa, infatti la ratifica del trattato sulla Brexit pone la parola fine a una separazione dolorosa, ma subita senza poter fare quasi nulla e vissuta senza recriminazioni. Semmai, l’uscita della Gran Bretagna ci ha consentito di fare in un anno molti passi avanti sulla via dell’integrazione che sarebbero stati impensabili se Londra avesse ancora potuto esercitare il proprio diritto di veto. Per la Gran Bretagna, che sul referendum si è spaccata in due lungo crinali sociologici, geografici e demografici, la Brexit resta invece una ferita aperta e dolorosa. Fino a che questo governo britannico rimarrà in carica, Boris Johnson dovrà dimostrare ai propri concittadini che la scelta di abbandonare la Ue è stata giusta e vantaggiosa.

Lo abbiamo visto con il dispetto di chiedere a Bruxelles una deroga per autorizzare i vaccini pochi giorni prima degli altri europei, con l’urgenza di firmare accordi commerciali con Paesi terzi quando ancora non sapeva quale sarebbe stato lo status commerciale della Gran Bretagna, con l’inutile dispiego di navi militari nel Mare del Nord contro i pescatori olandesi o francesi. Sono manifestazioni, più che di forza, di debolezza. Ma sarebbe Ingenuo sottovalutare lo sforzo che l’attuale inquilino di – Downing Street farà per vestire con i panni della vittoria quella che in realtà è una sconfitta per tutti.

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