Il miracolo Biotecnologie rilancia l’Occidente

La Repubblica 27 dic 2020 di Maurizio Molinari
La risposta biotech dell’Occidente

Con l’arrivo del primo camion di vaccini  Pfizer-BioNTech  all’ospedale Spallanzani di Roma, l’Italia entra nel novero di Paesi dove le inoculazioni stanno iniziando. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Israele, Messico, Cile e Costarica sono già centinaia di – migliaia le persone che hanno sperimentato l’emozione di questo passaggio. Non è la fine del Covid 19 ma può essere l’inizio della fine della paura perché a dieci mesi dall’attacco della pandemia venuta da Wuhan, la scienza ci sta  consegnando l’arma per difenderci. E c’è una novità non indifferente in merito: esce dai centri di ricerca di Stati Uniti ed Europa.

Sorpreso dall’attacco della pandemia Covid 19, lento nell’adattarsi ad un nemico invisibile, ferito da una moltitudine di vittime e contagi, segnato da polemiche ed errori nella reazione e preoccupato dalle devastazioni economiche a cui far fronte, l’Occidente sembra così trovare nella confezione dei vaccini il terreno di un suo possibile riscatto sulla scena globale.

La spiegazione viene dal fatto che i primi vaccini autorizzati dalle autorità competenti negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna e nell’Unione Europea Pfizer-BioNTech e Moderna ¬ sono stati prodotti in appena dieci mesi, con un risultato senza precedenti nella storia della medicina dovuto ad un’invenzione di biotecnologia.

Si tratta della piattaforma rivoluzionaria “messenger RNA” (mRNA) che consente di inviare istruzioni alle

cellule al fine di generare gli anticorpi necessari. Ovvero, il vaccino è costituito da nanoparticelle lipidiche contenenti l’mRNA, che dopo la somministrazione fa produrre alle cellule dell’organismo la proteina del virus. Questa induce la costruzione di anticorpi che annientano il virus Sars-CoV-2 quando si manifesta.

Si tratta di un prodotto di biotecnologia che si lascia alle spalle i vaccini del passato  -che inoculavano dosi non nocive della malattia, o parti del patogeno che la causa, per generare anticorpi – ed è frutto della svolta che avvenne nel 1976 con il debutto di Genentech ed il conseguente boom di nuove modalità terapeutiche, dagli anticorpi monoclonali agli acidi nucleici come il mRNA.  BioNTech, creata in Germania nel 2008 dai coniugi scienziati turchi Ugur Sahin e Ozlem Tureci, e Moderna, nata due anni dopo a Cambridge, Massachusetts, dal biologo di Harvard Derrick Rossi, hanno sviluppato la tecnica dell’mRNA fino ad arrivare praticamente assieme a generare il vaccino anti-pandemia. Ma con una differenza:  BioNTech ha avuto bisogno dell’intesa con il gigante americano Pfizer, fondato nel 1849 a Manhattan e oggi guidato da Albert Bourla, greco-americano di Salonicco figlio di sopravvissuti alla Shoà, per realizzare i test clinici, ottenere le autorizzazioni,  gestire la produzione di massa e la distribuzione globale. A questo bisogna aggiungere che gli Stati Uniti hanno sostenuto il vaccino di Moderna sin dall’inizio, in particolare le fasi 2 e 3 dei test, con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases e il Biomedical Advanced Research and Development Authority, e più in generale con l’Operation WarpSpeed hanno investito ben 10 miliardi di dollari nella corsa al vaccino con il maggiore aiuto governativo mai varato per un programma farmaceutico. Così come BioNTech, di base a Mainz nella Renania-Palatinato, si è giovata di importanti finanziamenti del governo tedesco e di un prestito dell’Unione Europea.

Su entrambe le sponde dell’Atlantico la scienza più avanzata, sostenuta da importanti investimenti governativi, ha generato un risultato che Drew Weissman -pioniere del mRNA e docente di Medicina all’University of Pennsylvania -definisce «molto simile perché le differenze fra BioNTech e Moderna sono solo nelle strutture periferiche». Ciò che il vaccino dimostra è la capacità delle biotecnologie di affrontare le sfide della conoscenza nel XXI secolo consentendo alle medicine biologiche di avvantaggiarsi di sistemi che già esistono nei corpi umani:  gli acidi nucleici con DNA e mRNA possono fornire ricette alle nostre cellule per creare le sostanze di cui hanno bisogno. Ecco perché «l’esperienza della lotta al Covid 19 cambierà quasi sicuramente il futuro della scienza dei vaccini -commenta su Nature Dan Barouch, direttore del Centro di Virologia e Ricerca sui Vaccini alla Scuola di Medicina di Harvard a Boston, in Massachusetts – in quanto dimostra a quale velocità possiamo procedere davanti ad una reale emergenza globale, senza fare compromessi sulla sicurezza».

E ciò significa guardare con fiducia anche a quelle eccellenze italiane come l’azienda biotech ReiThera a Castel Romano, l’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e la GlaxoSmithKline (GSK) Vaccines di Siena che si sono affermate come trincee avanzate della ricerca contro la pandemia.

Rino Rappuoli, capo scientifico della divisione vaccini di GlaxoSmithKline a Siena, spiega come «le ampie somme donate da governi e filantropi sono state decisive perché hanno consentito di fare in parallelo, e non in sequenza, i test di fase 1, 2 e 3 con la manifattura, accorciando i tempi e riducendo i rischi». Ma non è stato un cammino breve né facile: la ricerca basilare sui vaccini DNA è iniziata almeno 25 anni fa e quella sui vaccini RNA ha alle spalle 10-15anni di investimenti importanti, alcuni dei quali mirati alla lotta contro i tumori. Basti pensare che appena cinque anni fa la tecnologia che è stata adoperata per combattere il Covid 19 non sarebbe stata disponibile. Il terzo vaccino in arrivo, realizzato dalla società AstraZeneca anglosvedese con l’Università di Oxford in Gran Bretagna, trasporta la mRNA con un vettore virale – realizzato dalla Irbm di Pomezia – che non si replica.

Anche in questo caso però «trae beneficio da anni di ricerca dovuti alle precedenti battaglie contro Sars, Mers, Ebola e malaria» come osserva Beate Kampmann, direttore del Centro vaccini della London School of Hygiene & Tropica! precisando però che «questo approccio continua ad essere meno costoso rispetto all’uso del mRNA».

In tale cornice il tentativo di Russia e Cina di cogliere l’occasione della pandemia di Wuhan per dimostrare la competitività a livello globale della loro ricerca scientifica finora non ha dato i risultati auspicati.

Sebbene le aziende cinesi producano infatti circa un quinto dei vaccini del Pianeta, nella sfida al Covid 19 il più accreditato è al momento il Sinopharm – testato su oltre 31mila volontari nella fase 3 – ma con un’efficacia limitata all’86 per cento dei casi rispetto al 95 di Pfizer e Moderna e, inoltre, senza essere accompagnata dalla diffusione dei dati relativi, ad esempio sulle infezioni  – generate.

E lo Sputnik V russo, pur lanciato dal Cremlino con largo anticipo rispetto ai vaccini occidentali evocando anche nel nome lo spirito della Guerra Fredda, non rispetta gli standard euroamericani ed è al momento diffuso soprattutto sul mercato interno.

Insomma, la sfida scientifica di Mosca e Pechino a Usa e Ue per il momento deve cedere il passo ai risultati del biotech che vengono dai laboratori del Massachusetts e della Renania-Palatinato. Le biotecnologie mancano a Cina e Russia perché si generano da una miriade di società in competizione fra loro ovvero un modello di ricerca che distingue le democrazie avanzate mentre contrasta con l’accentramento della ricerca in grandi conglomerati pubblici. Ma è una gara che inizia adesso, come tutte le competizioni scientifiche potrà avere più vincitori e destinata ad assumere un valore strategico di lungo termine. In attesa di sapere se Mosca e Pechino riusciranno a competere sul fronte della ricerca con le imprese farmaceutiche occidentali possono esserci però pochi dubbi sul fatto che l’inizio della stagione del vaccino ha già un vincitore: chi ha creato, studiato finanziato, approvato e sostenuto lo sviluppo della biotecnologie negli Usa ed in Europa.

 

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