L’egoismo dell’Occidente nella partita dei vaccini

Corriere della Sera di Federico Fubini 11/01/2021

VIRUS E GEOPOLITICA

La mossa della Cina: il vaccino promesso ai Paesi emergenti

La produzione delle sostanze necessarie a immunizzare coprirà un decimo dell’umanità e i Paesi ricchi stanno facendo incetta

Venerdì Ursula von der Leyen ha fatto sapere che l’Unione europea ha prenotato altri trecento milioni di dosi di vaccini Pfizer-BioNTech, raddoppiando le forniture da parte della joint-venture fra la multinazionale americana e l’azienda tedesca. Mancava solo un dettaglio nell’annuncio della presidente della Commissione: a chi saranno sottratte? Non è una domanda provocatoria. È la questione dietro la quale si sta dipanando una diplomazia sotterranea dei vaccini che vede, ancora una volta, i governi occidentali ciechi e distratti di fronte all’ampliarsi della presa cinese sui Paesi emergenti o in via di sviluppo. All’origine c’è un problema pratico con conseguenze politiche: quest’anno non ci sono vaccini sicuri per tutti, quindi l’accaparramento delle dosi da parte dei Paesi ricchi sta creando nel resto del mondo un vuoto che Pechino si incarica di colmare alle proprie condizioni.

Rigidità e colli di bottiglia

Di sicuro nel 2021 la produzione dei farmaci migliori contro Covid-19, quelli di Pfizer e Moderna, non può coprire più di un decimo dell’umanità. E non sarà facile farla crescere, perché esistono rigidità e colli di bottiglia nei processi di fabbricazione. Un rapporto di novembre dello US Government Accountability Office (Gao) spiega che c’è carenza di gran parte di ciò che serve per produrre su larghissima scala i vaccini di ultima generazione di modello Rna-messaggero: mancano la manodopera qualificata e soprattutto certi enzimi indispensabili, fino a pochi mesi fa usati solo nei laboratori. Moderna ha già dovuto dimezzare la quantità di dosi previste per quest’anno a 500 milioni, mentre difficilmente Pfizer supererà quota 1,2 miliardi (ogni persona necessita di due somministrazioni).

Altri vaccini

Anche di altri vaccini sviluppati nei Paesi avanzati, quelli testati meglio, rischia di esserci scarsità nei prossimi mesi. L’anglo-svedese AstraZeneca per esempio promette di produrre quest’anno 2,8 miliardi di dosi a meno di due euro l’una: sarà la fanteria della guerra globale contro Covid, il 20% di tutti i vaccini opzionati dall’Italia e dall’Europa. Ma un terzo di tutte le forniture attese da AstraZeneca e l’intero miliardo di dosi di un terzo vaccino americano, quello di Novavax, saranno prodotti in India. Solo così possono costare relativamente poco, perché il subcontinente funziona come fabbrica del mondo a buon mercato per i farmaci e gli ingredienti dei medicinali da assemblare poi in Germania, Italia o Usa.

Fragilità

Il problema di questa catena globale di delocalizzazioni è la sua fragilità in un’era di nazionalismo e panico da pandemia. Dieci mesi fa il governo di Nuova Delhi bloccò l’export di ventisette principi attivi, provocando in aprile scarsità di certi farmaci anche in Italia. Ora afferma che la sua priorità è vaccinare contro il Covid almeno un quinto della popolazione: 270 milioni di persone, oltre mezzo miliardo di dosi. «C’è la possibilità che l’India limiti l’esportazione di vaccini prodotti nel Paese» dice al Corriere Arnaud Bernaert, capo del settore Sanità al World Economic Forum.

Le prenotazioni

Questa nube d’incertezza sta spingendo i governi in Nordamerica, Europa, Giappone e Australia a prenotare la massima quantità di dosi, lasciandone pochissime al 90% meno ricco dell’umanità. La Ue ha opzionato vaccini per tre volte la sua popolazione, il Canada per otto. E non sembrano disposti a rinunciare a una sola fiala. «Questi governi potrebbero essere riluttanti a liberare le dosi in eccesso perché non hanno certezze sulla durata della copertura dopo le prime vaccinazioni» prevede Bernaert, che spera in un atto di «generosità».

I vaccini cinesi

Di certo questa non si vede in Covax, l’iniziativa guidata dall’Organizzazione mondiale della sanità per garantire due miliardi di dosi ai Paesi poveri: per ora ha raccolto un decimo di quanto voleva. Ed è in questo spazio che la Cina si sta infilando per mettere a disposizione i suoi tre vaccini di Sinopharm, CanSino e Sinovac — tutti efficaci, ma più primitivi e meno testati — a decine di Paesi in Africa, America Latina e Asia emergente. Il primo passo è stato condurre i test su decine di migliaia di persone in sedici Paesi emergenti, dal Brasile, agli Emirati Arabi, all’Indonesia, con la promessa di rendere i vaccini cinesi «un bene pubblico». Adesso Pechino offre prestiti ai governi in difficoltà per comprare i propri vaccini e firma contratti con decine di Paesi dalla popolazione giovane e dall’economia in crescita fra cui Marocco, Kenya, Turchia, Bahrein, Malesia, Filippine, Cile, Brasile o Perù, facendo leva su quello che presenta come l’egoismo dell’Occidente. Così il Paese da cui è partita la pandemia, nella distrazione degli altri, ne esce con più alleati e vassalli che mai.

 

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