Il Messaggero di Romano Prodi del 21 febbraio 2021
Non ne usciamo senza un impegno comune per la produzione dei vaccini
L’Italia guidi il G20 verso la liberalizzazione nella produzione dei vaccini
Nelle scorse settimane si è assistito a infiniti dibattiti sulle diverse strategie da adottare nei confronti della somministrazione agli italiani del vaccino contro il Covid.
Si sono aperte surreali gare fra le regioni e si è perfino pensato di inventare apposite costose strutture per praticare iniezioni che, pur con qualche accorgimento, vengono già regolarmente somministrate in ospedali, palestre, capannoni, spazi espositivi e in qualsiasi luogo ove ciò sia possibile. Come se il problema fosse quello di somministrare il vaccino e non quello, infinitamente più grave, di disporre del vaccino.
Questo problema è stato finalmente inquadrato da una serie di analisi che, partite dal Financial Times, sono state poi diffuse e approfondite da diverse fonti.
Il quadro che si presenta è singolare e imprevisto. Il mondo dei vaccini era infatti tradizionalmente dominato da quattro grandi protagonisti: GlaxoSmithKline, Merck, Sanofi e Pfizer.
Tutti e quattro questi colossi, forti della loro grande esperienza, si sono subito dedicati alla ricerca del vaccino contro il Covid-19, ma uno solo è riuscito a metterlo sul mercato.
Come è ben noto si tratta dell’americana Pfizer che, per raggiungere quest’obiettivo, ha però dovuto condividere il progetto con una modesta ma grandemente innovativa azienda, la tedesca BionTech. Altre imprese avanzate si sono affiancate, come l’americana Moderna, ma con una capacità produttiva ancora troppo modesta di fronte alla necessità di vaccinare tutto il mondo. Un passo invece necessario per fare in modo che il virus, anziché mutarsi e diventare più cattivo, si tolga definitivamente dalla circolazione.
Qual è il risultato di tutto questo? Lo vediamo dalle statistiche dei vaccinati. Lasciando da parte Israele, piccolo paese che, fornito di adeguato livello scientifico e organizzativo, ha offerto alla Pfizer una collaborazione unica per studiare in modo sistematico i futuri effetti del vaccino sull’intera popolazione, i paesi che più degli altri lo hanno potuto iniettare sono quelli che lo producono o, come ha dichiarato il presidente della Banca Mondiale, quelli che possono pagare il prezzo più elevato alle imprese.
Come conseguenza, fino a oggi, sono stati vaccinati nel mondo circa duecento milioni di persone: il 30% di questi negli Stati Uniti, il 23% in Cina, il 12% nell’Unione Europea e il 9% in Gran Bretagna che, avendo poco più di un settimo della popolazione dell’Unione, ha quindi raggiunto un’elevatissima percentuale di vaccinati.
Quanto all’Unione Europea sono stati certamente commessi errori nella politica di approvvigionamento ma, almeno, sono stati evitati i potenziali disastrosi conflitti fra i paesi membri. Il problema europeo non è quello (pur presente) di avere sbagliato qualche contratto, ma quello (ben più serio) di non possedere una sufficiente capacità produttiva. Se questa è una grave debolezza per l’Europa, è un vero e proprio dramma per i paesi più poveri.
La recentissima riunione dei G7 ha affrontato questo problema e ha disposto di dedicare 7,5 miliardi di dollari per fornire i vaccini ai paesi che non hanno le risorse per pagarli. Una buona decisione, ma che non risolve il problema sotto l’aspetto quantitativo e nemmeno si pone l’obiettivo di innovare le regole che dovranno garantire a tutto il mondo una copertura contro i vari Covid, riguardo ai quali non sappiamo ancora se, quando e quanto spesso dovremo essere rivaccinati.
Di fronte ad una pandemia che sta devastando la salute e l’economia di tutto il mondo, occorre finalmente dare vita a regole che rendano possibile la vittoria contro il morbo prima che sia troppo tardi.
Bisogna cioè rendere possibile, con i dovuti severissimi controlli e con le eventuali sovvenzioni pubbliche per sovvenire i costi della ricerca, la fabbricazione del vaccino a un numero di imprese il più ampio possibile.
L’iniziativa di compiere un’eccezione alle pur comprensibili leggi che regolano la proprietà intellettuale non poteva certo essere presa dai G7, che hanno l’esclusiva leadership scientifica e produttiva in materia. Essa deve essere invece presentata come prioritaria di fronte ai G20, consesso dove siedono anche Brasile, Russia, Cina e, soprattutto India e Sud Africa, che già hanno proposto che le imprese detentrici dei diritti di fabbricazione dei vaccini li rendano disponibili a chiunque sia correttamente in grado di produrli.
Tra questi, vi è certamente l’Italia. Il dovere di condivisione della proprietà intellettuale, dato il danno universale della pandemia, non riguarda soltanto le imprese occidentali, ma deve naturalmente coinvolgere anche Russia e Cina.
Tutto questo accade proprio nell’anno in cui la responsabilità della presidenza del G20 spetta al nostro paese che, proprio a Roma nel prossimo maggio, dovrà anche presiedere il Global Health Summit, a cui si aggiungerà il Vertice dei Ministri della Salute nel prossimo settembre.
Una serie di appuntamenti che ci debbono vedere preparati sia tecnicamente che politicamente.
Abbiamo quindi grandi responsabilità, ma anche grandi occasioni per giocare, nella politica mondiale, il ruolo che l’Italia non solo ha il dovere, ma ha anche la capacità di portare avanti.
Penso che il favore con cui il nostro governo è stato accolto dai grandi protagonisti della politica mondiale, comporti anche l’attesa che questo favore sia messo al servizio dell’intera comunità umana.