Paolo Carrazza 14/3/2021
Se l’altra sinistra esiste ancora, batta un colpo
Il 17 e 18 Febbraio Draghi otteneva la fiducia delle camera, ed il titolo giusto era “bancarotta della politica”, occasione o certificazione con cui intendevo evidenziare la fase di bivio per la politica e in modo particolare per la sinistra.
A poco più di 20 giorni da quel passaggio che rimarrà nella storia politica di questo Paese, siamo qui ad aggiornare quella istantanea della situazione politica, e perché le analisi si fanno non per prevedere il futuro, ma per determinare il futuro, per capire come “forzare” le spinte oggettive attraverso l’intervento soggettivo. Ed infatti il primo soggetto a ragionare in questo modo è stato Salvini, che nonostante un discorso alle Camere pesante di Draghi sull’europeismo, l’atlantismo, le politiche fiscali, la priorità delle politiche sanitarie e della prudenza sulla diffusione del virus, ha scelto di “tornare” a far politica con una politica del doppio binario, all’ombra di Draghi nella gestione del potere, “liberta” di parole nella propaganda verso i propri settori sociali. Un posizionamento elettorale di una destra tranquilla che è pronta a governare non appena si andrà al voto. Che smonta il primo argomento elettorale di una sinistra impegnata ad accreditarsi come la sola forza di governo europeista in una fase di grandi incertezze.
Senza questa chance, la sinistra si è sentita vedova di quello che è sembrato l’unico vero argomento che poteva battere Salvini,” la gestione dell’emergenza e il consenso dei sondaggi su Conte” che avrebbe fatto la differenza nel caso di elezioni.
Questo ha colpito immediatamente il M5S, che senza Conte al governo si è sentito “nudo” e diviso in mille fazioni senza più nessun argomento populista spendibile e credibile.
E anche qui, è tornata la politica, perché dopo lo smarrimento iniziale, la scelta di Grillo di mettere Conte alla testa del movimento-partito ha narcotizzata la crisi, non l’ha risolta, ma sicuramente ha paralizzato improvvisamente tutte le tendenze centrifughe. In primo luogo confortati dall’effetto nel Pd, alleato-competitor, che anch’esso si è trovato ridimensionato nelle leve del governo, e deprivato della carta Conte elettorale, perché Conte diventava lo strumento per rafforzare il M5S e non la coalizione. I primi sondaggi hanno fatto il resto.
E quindi l’effetto Draghi in pochi giorni è diventato politicamente la chiave della rimonta e della vittoria sicura del centro destra.
“Tutta colpa di Zingaretti” è diventata la nuova offensiva politica di ispirazione renziana, sostenuta in modo impressionante dalla comunicazione politica, “si è impiccato al Conte 3 o niente”. La minoranza renziana del Pd l’ha fatta propria, e chiunque aveva argomenti per dire che il Pd era al capolinea e bisognava nominare il commissario liquidatore. Il tracollo del Pd, emblematizzato poi dalle dimissioni di Zingaretti, era lì a soddisfare i due principali beneficiari, il M5S che avrebbe recuperato una parte della propria enorme erosione, e Matteo Renzi, che continua a rivendicare il successo per essere stato il promotore (indiretto) del governo Renzi, ma continua ad essere l’unico sconfitto certo di tutte le prossime competizioni elettorali.
Ma anche qui la soggettività politica viene in soccorso alle soluzioni imposte dall’oggettività dei rapporti di forza consolidati, del senso comune consolidato.
La dirompenza della forza della candidatura di Enrico Letta, è forse andata oltre le intenzioni di molti degli stessi promotori.
E le risorse presenti ancora in termini di cultura e classi dirigenti della tradizione cattolica e comunista di questo Paese rimane impressionante.
Non ho bisogno di argomentare questa affermazione. Rimando all’intervento ascoltato oggi di Enrico Letta su Sky e Radio Radicale. Come “malato” della politica, e quindi come masochista-confesso di ascoltatore di relazioni ed interventi politici per un cinquantennio, devo ammettere di non ricordare più un’analisi puntuale, concreta, dei nessi svolti tra la politica e il sociale, a livello mondiale e territoriale, che riguardano la visione del mondo, la cultura diffusa, il senso comune, l’intreccio generazionale, la sfera politica e quella individuale, i cambiamenti tecnologici e gli ancoraggi più concreti del vivere quotidiano diffuso. Per arrivare al ruolo del Partito. Tutto ciò motivato sul piano personale, nel rapporto tra la formazione politica, il ritorno al lavoro nel mondo reale, il rapporto con la dimensione culturale e le nuove generazione.
Confesso, mi sono tornati alla mente i miei riferimenti, tanti, diversi della formazione politica, ormai persi, inariditi, o sempre lucidi ma rimasti ad osservare solo un frammento della realtà.
E questa dimensione, come Letta ha esplicitato, è il prodotto di un cambiamento personale che si innesta nel percorso delle esperienze politiche, lavorative, di studio, interpersonali, diverse a cui si è dedicato.
Letta ha guardato la realtà da un punto di vista che non è il mio, ma incrocia continuamente con il mio che è stato quello del comunismo democratico italiano.
Tutto ciò mi fa concludere che per il Pd si è aperta un’occasione e un problema. L’occasione è quella di chi al terzo giorno può risorgere, e il problema è che si trova di fronte alla scelta di dover uccidere il demonio che è in lui dal primo giorno in cui è nato, PD O Pds o Ds che sia: l’assillo di vivere per il potere. Così come Letta ha detto nel suo intervento, più volte richiamandosi alla necessità di dover dire la verità. La verità non detta è questa dipendenza dalla gestione del potere che ne costituisce l’identità, l’identità percepita da chi guarda il Pd.
Ribadita in quella cosa normale che chiunque sa, conosce, ed è scontata: Meglio un incarico di governo, o un incarico di Partito? Letta dice che oggi è più stimolante per lui quella di partito perché oggi se pensi al cambiamento, il cambiamento passa per il cambiamento del Partito.
E qui Letta sfiora il leninismo, e questo mi pare troppo.
Conclusione. L’arrivo di Draghi sta andando ogni più rosea aspettativa. Ci dispiace per Travaglio. Il complotto ai danni di Conte è un poco poco patetico, Conte cade per un deficit di spessore politico di Conte, del tutto naturale del resto, a cui lo stesso Conte finchè ha potuto ha compensato con altre capacità. Credo che prima o poi dovremo prendere atto che la Pandemia ha cambiato lo scenario ed imporrà un cambio nello spessore delle classi dirigenti e anche gli elettori presto se ne renderanno conto per la propria sopravvivenza.
Non mi riferisco ai successi di Draghi, ancora pochi ma non per dirette responsabilità. Mi riferisco ai primi timidi ma anche importanti risultati nella politica, nella reazione delle forze politiche a darsi una mossa, Pd e M5S sono passati dal rischio spappolamento, a liberarsi delle prime catene che li imprigionano.
Ma anche il cambiamento a cui è stato costretto Salvini, va considerato un successo, tutto da confermare, ma un successo nell’immediato: inquinare i pozzi è un danno per tutti, sempre.
Ma all’appello della politica e del suo scatto di sopravvivenza manca ancora la sinistra di alternativa. Il Pd non può coprire questo spazio, cosi come la battaglia perché rimanga uno solo tra le due sinistre non ha portato bene a nessuna delle due.
La sinistra radicale o di alternativa copre uno spazio necessario, ma da qui non arriva nessun segnale. Nessun segnale percepibile. La malattia storica di autoreferenzialità e minoritarismo può essere letale. Una riflessione si deve aprire, speriamo che qualcosa della tradizione della sinistra italiana sia rimasta anche li.