Il Pd e l’industria delle armi

il manifesto Gian Piero Scanu 27.03.2021
Il Pd subalterno al complesso militare industriale
Armi . Temo l’irresponsabilità e il vetero-atlantismo del mio partito che, in piena pandemia e crisi sociale e sanitaria, vuole l’Italia tra i protagonisti globali della corsa agli armamenti.


La puntata di lunedì scorso di «Presa Diretta» sulla industria bellica e le spese militari è stata una vera boccata d’ossigeno, un ottimo esempio di servizio pubblico.

Spero davvero che, insieme ai tanti cittadini, l’abbiano vista anche i miei colleghi di partito, perché tutto ciò di cui si è parlato in quella trasmissione li riguarda molto da vicino. In special modo, tutti coloro che hanno ricoperto e che ricoprono posizioni di governo non solo nel ministero della Difesa.

Ma pure nelle varie commissioni parlamentari. Dopo le dimissioni di Zingaretti è tutto un gran parlare di rinnovamento del Pd. Ma c’è una cosa oscura che campeggia; una sorta di fantasma di cui nessuno parla, ossia la «zelanteria» ed il «senso di responsabilità» con cui si assecondano gli interessi molto particolari del complesso militare industriale del nostro Paese.

Per la verità i miei sodali sono in ottima compagnia, poiché in tutto il parlamento ho visto ben poche persone che, quando si trattava di manovrare le leve di governo, abbiano dimostrato il giusto coraggio e la necessaria coerenza rispetto ai principi costituzionali ai quali abbiamo giurato fedeltà. Mi riferisco in particolare all’art.11 della nostra Costituzione: «…l’Italia ripudia la guerra…».
PENSO CHE LO ABBIAMO tradito ogni volta che abbiamo privilegiato l’impegno della forza militare rispetto a quello della diplomazia e del negoziato, accettando finanche il principio della guerra preventiva contro le armi di distruzione di massa. Inesistenti quanto la nipote di Mubarak! Non si tratta, a mio giudizio, di negare la necessità degli strumenti di difesa, ma di doverne impedire gli eccessi. In relazione a ciò, giusto per esemplificare, mi chiedo perché non si facciano concreti passi in avanti verso un reale sistema di Difesa Europea, più efficiente e meno costoso dei ventisette proposti dai singoli Stati, che continuano a bruciare follemente ingenti risorse, impiegabili in ben altri contesti. Il risparmio di ciascun Paese, a mio giudizio, potrebbe favorire la riconversione di tanta parte dell’industria militare, a partire, a titolo di esempio, dalla transizione ecologica.

Quella vera emergenza, cioè, che chiama in causa e che pretende tecnologie, apparati di ricerca e sistemi produttivi di alto livello.
Quando ho avuto modo, concretamente, di essere chiamato a dimostrare la mia coerenza a questo principio, sono sempre stato ostacolato, spesso isolato ed infine estromesso da qualsiasi ruolo di responsabilità nel mio partito. Ma non è la mia vicenda personale ciò che conta e non è di questo che sono preoccupato.

Mi preoccupa seriamente la pervicace irresponsabilità del mio partito che, in piena pandemia e crisi socio-sanitaria, continua a credere che il nostro Paese debba essere uno dei protagonisti globali della corsa agli armamenti e che debba mantenersi saldamente al guinzaglio di un atlantismo non più rispondente alle esigenze di un continente europeo in grave deficit di una visione globale, oltre che carente della necessaria tensione ideale.

SI HA L’IMPUDENZA di giustificare la folle crescita della spesa militare, gabellandola come la panacea all’instabilità internazionale che minaccerebbe i nostri interessi nazionali. E magari si suggerisce persino l’oblio verso le responsabilità del blocco euroatlantico, con i suoi bombardamenti «umanitari» e le «esportazioni democratiche», inflitte anche col ricorso a quell’uranio impoverito, che continua a mietere vittime sia tra i civili che tra gli stessi nostri soldati mandati in missione!

CARO MINISTRO Guerini, perché continui a voler soccombere nei tribunali italiani, laddove il ministero della difesa perde le cause intentate dalle vedove e gli orfani provocati dall’uranio impoverito, anziché avere la dignità e l’onestà di riconoscere la drammatica verità emersa grazie al lavoro svolto dall’ultima commissione d’inchiesta della camera dei deputati? Perché tanta omertà?

Appena qualche giorno fa Gregorio Piccin su il manifesto ha riportato un dato del Sipri che mi ha profondamente colpito. L’autorevole istituto di Stoccolma, non Putin o Xi Jimping, sostiene, in un suo studio pubblicato lo scorso dicembre, che l’80,4% del mercato mondiale di armi e sistemi d’arma sia controllato da multinazionali del blocco euro-atlantico, mentre Russia e Cina si spartiscono il rimanente 19,6%. Lo studio riferisce inoltre che è sempre il blocco euro-atlantico quello maggiormente responsabile della così detta «internazionalizzazione» dell’industria bellica, cioè del coinvolgimento diretto di decine di Paesi nella filiera produttiva delle armi.

E questo, lo sappiamo, non per uno spirito di condivisione dei brevetti (basti vedere la squallida figura che Usa e Ue hanno recentemente fatto al Wto difendendo la proprietà intellettuale delle multinazionali farmaceutiche) ma in cambio di commesse militari, accordi strategici, rifornimenti di petrolio e gas.

In quel 80,4% c’è lo spregevole export, anche italiano, verso Paesi come Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti di cui si è parlato anche nella puntata di «Presa Diretta», ma c’è soprattutto il livello di riarmo interno.

IL MASSICCIO export di armi verso questi Paesi (per i quali i miei colleghi di partito e i loro omologhi del club Nato non esprimono alcuna riserva rispetto alla violazione dei diritti umani) è solo una conseguenza del riarmo complessivo del blocco euro-atlantico. Il vero problema non è l’export in sé. Il vero problema è che mentre l’occidente, da una parte, traina e rilancia la corsa agli armamenti in chiave globale, dall’altra continua minaccioso a puntare l’indice accusatorio verso altre realtà statuali, col classico sistema «due pesi e due misure».

Io credo che anche il Pd debba convincersi che non sia più praticabile l’esercizio della civilizzazione del mondo, col sistema delle bombe e delle invasioni. E credo che la Storia ci stia già dando conto della nostra attitudine al fariseismo.

Penso che l’Italia, partendo dal ricorso ad un laico «supplemento d’anima», debba mettere in campo una urgente transizione etica ed ecologica, per occuparsi della sicurezza, della giustizia sociale e dei diritti umani. E farsi promotrice di concrete politiche di disarmo, distensione, pace e collaborazione tra i popoli. Non credo che esistano altre opzioni.

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