In Libia si conferma l’asse Draghi-Biden

Repubblica di Maurizio Molinari 11/04/2021
Usa e Italia l’agenda comune sulle crisi

 

A quasi sessanta giorni dal suo insediamento il presidente del Consiglio Mario Draghi ha messo in evidenza valori, scelte e azioni che disegnano una convergenza tale con il presidente americano Joe Biden da aprire lo scenario ad una partnership privilegiata Italia-Usa che può rafforzare e innovare la cooperazione euro-americana.

 

Partire dai valori è fondamentale perché il quadriennio 2016-2020 ha scosso le radici del legame transatlantico per motivi convergenti: l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, l’affermazione in Europa (Italia inclusa) di forze populiste e sovraniste tentate dai legami con Mosca e Pechino la presenza alla Casa Bianca di un leader come Donald Trump non convinto del valore strategico dell’Europa. Con tali premesse la dichiarazione di fedeltà all’europeismo e all’atlantismo da parte di Draghi nel discorso di insediamento ha assegnato da subito all’Italia un ruolo da protagonista del rilancio dell’architettura euro-americana.

Tutto ciò in coincidenza con l’inaugurazione a Washington del nuovo presidente Joe Biden, protagonista di una analoga svolta in patria. Ciò che colpisce è con quanta velocità tale coincidenza di valori si stia trasformando in un’agenda politica comune. A cominciare dal clima perché se Biden si è affrettato a far tornare gli Usa nell’Accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni nocive, Draghi —presidente di turno del G20 — sta preparando la conferenza Onu sul clima di Glasgow Cop26 attorno ad un’agenda ambiziosa che ha per silenzioso protagonista proprio l’inviato Usa sull’ambiente John Kerry. Che non a caso è andato nella nostra ambasciata a Washington ad esporre pubblicamente la svolta sull’Accordo di Parigi. Draghi d’altra parte vede nei temi “verdi” un motore per la ricostruzione economica dell’Italia e della Ue — nella cornice del Next Generation EU e dell’Agenda Green della Commissione Ue — proprio come Biden ha identificato su energia rinnovabili e “impact economy” la spina dorsale di un piano di rilancio della crescita Usa da duemila miliardi di dollari. A questo bisogna aggiungere il tema della web fax che sembrava dividere irrimediabilmente Europa e Usa a fine 2020 ed ora invece vede Washington favorevole a studiare forme di tassazione globale per i giganti digitali della Silicon Valley — come anche per le compagnie che registrano maggiori profitti — aprendo di fatto a un negoziato con il G20 a guida Draghi e con le posizioni della Commissione Ue rappresentate dal responsabile agli Affari Economici, Paolo Gentiloni.  A conferma della convergenza fra Casa Bianca e Palazzo Chigi su temi globali c’è la posizione sui vaccini da donare ai Paesi in via di sviluppo nell’ambito nel programma Covax: verrà fatto, in maniera massiccia, ma solo quando i cittadini delle rispettive nazioni saranno protetti e non prima, come invece suggeriva la Francia di Emmanuel Macron. Senza contare la possibilità che quando l’America avrà raggiunto, il 19 aprile, l’accessibilità al vaccino per tutti i cittadini, potrà iniziare a produrlo per partner ed alleati. Tali e tante convergenze sui temi globali spiegano perché il ministro degli Esteri Luigi Di Maio lunedì sarà a Washington, primo leader straniero ad incontrare il Segretario di Stato Antony Blinken. L’occasione sono i 160 anni delle relazioni bilaterali ma l’agenda è ricca di contenuti di valore. Basta leggere quanto scrivono Max Bergmann e Simon Clark in un recente studio del “Center for American Progress” di Washington — il think tank liberai più vicino all’amministrazione Biden — per comprendere cosa ha in mente la Casa Bianca: “Lavorare con l’Italia di Draghi significa rafforzare il legame fra Stati Uniti ed Europa”. D’altra parte Biden conosce personalmente il premier italiano da molti anni: quando era vice di Barack Obama lo ebbe spesso accanto nei G8 e G20 — dove sedeva per la Bce — per rispondere alla crisi finanziaria del 2008, e la comune convinzione nelle ricette per la crescita li portò spesso a duellare, assieme, con le resistenze tedesche. E su questo terreno Draghi ha maturato la convinzione espressa subito, nel primo summit Ue a cui ha partecipato da premier, indicando nel “modello economico federale Usa” un obiettivo a cui tendere, nel lungo termine, per consentire all’Europa di rafforzare la propria integrazione. Ma c’è dell’altro perché la convergenza Draghi-Biden sui temi globali inizia ad affacciarsi anche sulle questioni più strettamente strategiche. Prima fra tutto il rapporto con le autocrazie ovvero le potenze che negli ultimi anni hanno apertamente sfidato l’Occidente puntando ad indebolirlo nelle maniere più diverse. Se infatti Biden ha definito “killer” il leader russo Vladimir Putin e Draghi ha usato il termine “dittatore” per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è al fine di far comprendere a entrambi che la stagione dell’Occidente remissivo e silente davanti alle loro politiche aggressive è oramai alle spalle. La Casa Bianca non vuole rompere con Putin ma punta a riequilibrare i rapporti con un leader che negli ultimi quattro armi ha annesso la Crimea, aggredito il Donbass ucraino, salvato il regime sanguinario di Bashar al Assad, tentato di uccidere con le armi chimiche gli oppositori politici e messo a segno formidabili interferenze cyber in più Paesi Nato. In maniera analoga Draghi non vuole rompere con Erdogan ma riequilibrare i rapporti con un leader che punta ad egemonizzare le risorse di gas naturale nel Mediterraneo — allontanando anche le nostre navi dalle acque di Cipro — si è insediato con le truppe a Tripoli e con le sue unità navali controlla di fatto il traffico dei migranti africani verso il nostro Paese. L’incidente del “sofagate” con Ursula von der Leyen è stato dunque l’occasione per ricordare a Erdogan che i rapporti di buon vicinato — anche fra Paesi molto diversi — passano sempre per il reciproco rispetto. E poiché Putin ed Erdogan sono leader assai energici, riequilibrare il rapporto con loro può passare anche attraverso l’uso di termini non troppo diplomatici. Proprio sul fronte dei rapporti con le autocrazie l’Italia d’altra parte, la settimana precedente, aveva inviato un messaggio assai eloquente a Mosca espellendo il capo stazione dell’intelligence a Roma ed un suo stretto collaboratore per aver corrotto un ufficiale italiano dello Stato maggiore della Difesa al fine di ottenere segreti militari Nato. Ciò significa che Roma e Washington sono in forte sintonia nel voler recapitare alle maggiori autocrazie rivali dell’Occidente — oltre a Mosca ed Ankara la terza è Pechino — un messaggio eloquente: continueremo ad avere rapporti amichevoli di ogni tipo ma devono cessare le violazioni delle leggi internazionali, della sovranità degli altri Stati e del rispetto dei diritti umani. Come se non bastasse Usa e Italia stanno gestendo assieme la crisi innescata dalle truppe russe nel Donbass, il difficile ritiro dall’Afghanistan, il riassetto delle truppe Nato in Iraq (che porterà l’Italia a guidare la missione) e la delicata transizione in Libia per riuscire a garantire l’unità nazionale ed il ritiro di soldati turchi e mercenari russi. Insomma, ciò che accomuna Draghi e Biden è l’idea di una partnership per battere la pandemia, risollevare la crescita, affrontare le crisi globali e respingere la sfida delle autocrazie. Puntando ad accompagnare Ue ed Usa ad affrontare assieme l’agenda del mondo che cambia. È un percorso difficile, disseminato di ostacoli ed avversari temibili — interni ed esterni — ma la sua sola esistenza è una novità di rilievo nello scacchiere atlantico.

 

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