Dietro la facciata, il realismo di Biden e Putin

il manifesto Guido Moltedo 17.06.2021
E Joe Biden scopre di avere bisogno di Putin
Ginevra. La resilienza russa e il suo peso geostrategico, porta al cambio di passo americano per contrastare la saldatura di un temibile fronte avverso, costituito da Russia, Cina e Iran

Dopo un summit tra i leader di due superpotenze, la prima domanda d’obbligo è: chi dei due ha vinto il match? Stavolta, però, la risposta ha perfino preceduto la domanda. Il fatto stesso che si sia tenuto, il vertice di Villa Lagrange, è un grande punto a favore di Vladimir Putin, che può ragionevolmente affermare, nella conferenza stampa dopo i colloqui, che «la conversazione a tu per tu con Joe Biden è durata quasi due ore, e non è che qualsiasi leader del mondo ottenga tanta quantità d’attenzione».

Un trattamento che difficilmente si riserverebbe a un «killer» – così l’aveva definito Biden – , al protagonista di un racconto che è quello di un regime autoritario, soffocante per i russi e pericoloso per i paese vicini e per il mondo. Un paese su cui gravano sanzioni dal 2014.

JOE BIDEN è d’altra parte uno «statista esperto». La definizione è del presidente russo. Che ha un evidente sottotesto. Diversamente dal suo predecessore, tutto viscere e improvvisazione, l’attuale presidente statunitense ha una notevole e lunga dimestichezza con la politica internazionale. A lungo presidente della commissione esteri del senato. Vicepresidente di Obama con ampia delega in materia di politica internazionale. Una fitta rete di relazioni in ogni dove del mondo. Biden sa essere duro quando tocca i tasti della propaganda, che pure ha un peso nelle relazioni internazionali ma non è quello decisivo, e ancor di più sa essere realista come negoziatore. Politico vecchia scuola.

ALLA FINE DELLA GIORNATA, come si dice in America, quel che contava era riaprire un canale di dialogo diretto tra studio ovale e Cremlino. E questo risultato c’è. Anche nei momenti più gelidi della guerra fredda, la linea tra Washington e Mosca ha sempre funzionato, e Biden può ora interagire direttamente con il suo omologo russo. Il killer è adesso il leader che non può essere né ignorato né trattato come il capo di una ormai ex-superpotenza, che merita solo di essere sottoposta a un permanente lavorio di logoramento.

QUESTO NON VUOL DIRE che si volta pagina rispetto ai diversi dossier che hanno tenuto banco nell’ultimo decennio e che Biden, con Tony Blinken e la sua squadra, ha posto sul tavolo del negoziato ginevrino: i diritti umani, con il caso Navalny in primo piano, la questione ucraina, la cybersicurezza e le relative accuse americane di interferenza nelle faccende interne degli Usa. E poi le trattative sulle armi nucleari e sul clima, temi, questi ultimi, dove è possibile trovare intese. Gli Stati Uniti e la Russia intraprenderanno nel prossimo futuro un dialogo bilaterale integrato sulla stabilità strategica che sarà robusto, si legge in una dichiarazione congiunta di Biden e Putin. C’è da aspettarsi che le tensioni restino, ma dentro un contesto diverso, nel quale la guerra delle parole convive con canali di comunicazione anche diretti tra i due presidenti. «Un’altra guerra fredda non sarebbe nell’interesse di nessuno» e «c’è una genuina prospettiva di migliorare significativamente le relazioni», ha detto il presidente statunitense dopo l’incontro.

IL REALISMO DI BIDEN è dettato da diverse considerazioni. La situazione russa, nonostante le sanzioni e il crescente ostracismo occidentale tiene complessivamente bene. Grazie anche all’abile governatrice della banca centrale, Elvira Nabiullina, si registra una certa stabilità fiscale, l’economia potrebbe tornare in forma nel giro di un paio d’anni, anche di fronte alla crisi pandemica e alla caduta del prezzo del petrolio. La resilienza russa, unita al suo obiettivo, enorme, peso geostrategico, porta Biden a cambiare passo, con l’obiettivo di contrastare la saldatura di un temibile fronte avverso, costituito da Russia, Cina e Iran.

Zbigniew Brzezinski avvertiva, nel 1997, che ”lo scenario più pericoloso” che si possa delineare è quello di una Cina sempre più vicina a Russia e Iran, quella che egli definiva una coalizione anti-egemonica contro le democrazie occidentali. Oggi quello scenario si sta avverando, è l’incubo di Washington. Nel gioco del domino che sta ridefinendo il nuovo ordine mondiale – dopo la presidenza Trump – l’assillo dell’amminstrazione Biden è dunque quello di indebolire tutti gli anelli che Pechino sta costruendo per avere un ruolo primario di superpotenza, promuovendo alleanze innanzitutto con i principali attori geopolitici che sono nel libro nero di Washington.

IL TOUR EUROPEO di Biden, con la tappa finale a Ginevra, aveva innanzitutto questo scopo. Riportare al centro l’America, ridare ruolo al fronte dei paesi alleati, dopo la fase di segno opposto del quadriennio repubblicano, e agire sull’asse Russia-Cina-Iran, per impedirne il consolidamento.

L’obiettivo, come si è detto, è il ridimensionamento del crescente potere cinese. Ma, in realtà, l’obiettivo principale è la politica domestica, che di qui al 2022, il prossimo anno, delle elezioni di medio termine, occuperà il grosso dell’agenda presidenziale. Una sconfitta in uno o in entrambi i rami del Congresso del Partito demcoratico indebolirebbe enormemente Biden e i suoi programmi, senza considerare che Biden è un presidente destinato a un solo mandato.

RIDEFINIRE la politica estera in modo tale da poter concentrare il massimo dell’attenzione su quella domestica è dunque la priorità di Biden. Il tour europeo porta risultati in quella direzione? Quelli di facciata lo farebbero pensare. Ma appunto sono per ora solo di facciata, e lo saranno finché non sarà chiaro l’interesse dei partner e degli interlocutori, se davvero assecondare o meno il disegno di Biden. Oggi questo non è ancora chiaro, né tra gli alleati europei, né al Cremlino.

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