La riduzione dell’Europa a Provincia atlantica, in attesa della Grande Crisi

Massimo Cacciari La Stampa 28 Aprile 2022
La nostra Europa vicina al tramonto

 

Mentre prosegue la ‘tragedia ucraina e l’opinione pubblica è indotta a pensare di capirne qualcosa dalle tremende immagini dell’ultima ora provenienti dal fronte, le vicende dell’Europa occidentale sembrano svolgersi sul canovaccio di un suo sempre più irresistibile tramonto.

 

Le sanzioni, inevitabili dopo l’invasione (e che Putin non poteva non aver previsto, dal momento che in precedenti e assai meno gravi occasioni la Russia le aveva subite) , peseranno sulla sua economia, e, quel che conta ancora più, in modo tremendamente disuguale, accentuando le differenze tra Paese e Paese dell’Unione nelle politiche di welfaré. Ilsuo ruolo geopolitico, poi, tenderà a scomparire, dopo le brillanti prove fornite con la guerra in Iraq, dal Medio-Oriente all’Afghanistan.

Eppure, qualche anno fa, sulla tragedia in Ucraina (che, allora, quando l’esercito  ucraino attaccò i secessionisti del Donbass, non suscitava molto interesse) si era alzata la voce di un suo protagonista. Macron aveva infatti “sponsorizzato” un accordo possibile tra Ucraina e Russia sulla base dello “stand by” di ogni decisione in merito all’ingresso dell’Ucraina nella Nato e dell’apertura di serie trattative sulla sistemazione delle regioni del Donbass e della Crimea che sono a larghissima maggioranza russofone (il pubblico forse ignora che la Crimea venne “donata” da Kruscev, ucraino, nel 1954 alla sua repubblica natale allora ovviamente parte dell’Urss, e che al referendum di qualche anno fa votò per tornare alla Russia il 96, 7% degli aventi diritto —brogli meravigliosamente riusciti, vero?).

Ora, questi spiragli per un’azione autonoma sono ridotti a meno della cruna dell’ago. Ma ciò è destinato a incidere radicalmente anche sugli equilibri politici interni dei nostri Paesi. Diciamoci le cose con la franchezza, l’onestà e il realismo che le tragedie impongono. Le elezioni francesi insegnano, come, nello stesso senso, insegnano anche le vicende italiane, e prima ancora quelle greche, spagnole, ecc. ecc. Casi diversi, certo, in base anche alla forza dei diversi Stati, ma un filo rosso li unisce. Le Marine Le Pen potranno provare altre dieci volte a vincere e mai vinceranno. Pericolo felicemente scampato —meno felici forse le ragioni per cui ne siamo immuni. Semplicemente, i nostri concittadini europei hanno compreso in grande maggioranza che non è possibile governare un Paese occidentale senza l’esplicito sostegno delle grandi potenze finanziarie e economiche globali. Votare le Le Pen significa votare per aprire una crisi.

I cittadini europei votano oggi, e del tutto ragionevolmente, per coloro che pensano in grado di difendere, grazie alla autorevolezza di cui godono proprio “a casa” di quelle potenze, quel poco o tanto di benessere e sicurezza che è loro rimasto. Le Le Pen non sono votate — o non sono votate abbastanza — non perché culturalmente indigeribili, ma perché sicuri fattori di sicura insicurezza. Così almeno in tutte le elezioni che contano, in altre il voto può essere più “libero” e la protesta nei confronti dell’establishment alzare la voce. Se però la alza troppo —vedi affermazioni grilline — la situazione diviene ingovernabile e si provvede, come da noi, con i Ciampi, i Dini, i Monti, i Draghi (e conseguente ravvedimento dei rottamatori — incredibile addirittura nel caso dei vari Di Maio nostrani).

Provvedimenti provvidenziali, magari, ma la morale della favola non cambia: in Occidente non si governa se non sulla linea politico economica che questi nomi rappresentano. La scomparsa della cosiddetta  “sinistra” è il prodotto di tale destino, ben più che della incapacità e smemoratezza dei suoi leader. E la nostalgia per quel nome, rimasto un puro flatus votis, semplicemente patetica. La riduzione dell’Europa a Provincia atlantica è l’altrettanto inevitabile conseguenza — che poi, per rendere la legge meno dura, si dipinga la Nato come una grande forza di pace non è, si sarebbe detto una volta, che trascurabile sovrastruttura ideologica. La crisi dell’Europa — delle ragioni strategiche e culturali che sono alle sue radici: dialogo tra i grandi spazi del pianeta, riconoscimento delle loro differenze, ripudio della guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali — apre per i suoi membri più deboli prospettive interne drammatiche. Quando i nostri leader diranno la verità sulla nostra situazione, chiamando tutti a responsabilità concrete? Dà più di vent’anni tutti i “fondamentali” dell’economia italiana peggiorano. Pandemia e guerra hanno drammatizzato le nostre condizioni, ma non ne sono certo i soli colpevoli. Tergiversare ancora sarà impossibile. Nel 2021. il debito ha superato i 2700 miliardi, oltre il 160% del Pil (era, se non sbaglio, circa l’80% alla fine degli anni ’80) ; il tasso di disoccupazione (malgrado le migliaia di controllori, vigilanti, sanificatori e altre nuove occupazioni altamente produttive inventate per combattere il Covid) continua a essere per i giovani oltre il 24% e nel Mezzogiorno i posti di lavoro sono mezzo milione meno di trent’anni fa. È lecito chiedere al conducente chi pagherà il conto? Come saranno distribuiti i sacrifici per l’inflazione conseguente all’aumento di tutte le materie prime, ivi comprese quelle che servono a nutrirci?

E’ la Banca mondiale a dire che ci saranno centinaia di milioni di nuovi poveri sulla faccia della Terra. Quanti di questi saranno italiani? Dipenderà, penso, dalle nostre politiche. Quali, di grazia? Non si metteranno le mani in tasca a nessuno, proclamano tutti all’unisono. Ciò equivale a decidere di metterle nelle tasche più vuote, lasciando fare alle sovrane leggi di mercato. Oppure si hanno in mente politiche fiscali che riducano l’impatto dell’inflazione che per propria natura penalizza i meno abbienti? Le grandi autorità finanziarie internazionali non mi pare si siano in passato eccessivamente preoccupate del problema (vero Grecia?) . Altra via: continuare ad aumentare il debito, fino a quando gli arbitri te lo concederanno. Qualche santo, cioè qualche figlio e nipote, poi ci penserà. Ma parlare di queste faccenduole durante una guerra che potrebbe condurre a una catastrofe globale suona addirittura penoso. Dunque, meglio non discuterne, evitare conflitti a proposito, neutralizzarli ancora più che durante la “guerra al Covid”. L’emergenza continua; lo stato di eccezione è ormai puramente e semplicemente lo stato. Che Cincinnato rimanga a vita e il Senato ratifichi obbediente.

 

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