Tornare al proporzionale, e magari anche alla Dc

Corriere della Sera di Maria Teresa Meli 3 maggio 2022

 

Legge elettorale, ora il proporzionale convince anche il Pd. Sbarramento, capilista bloccati: tutte le ipotesi

 

Svolta nel partito di Enrico Letta. Anche per il M5S è la soluzione migliore. E nel centrodestra, si fa largo un «partito proporzionalista» nella Lega. Ma FdI annuncia battaglia su ogni tentativo di forzare la mano in Parlamento


Abbandonato nel 93, demonizzato per tutti gli anni a seguire, da qualche tempo in qua il proporzionale sembra essere tornato di gran moda. E ha fatto nuovi seguaci. Si guardi al Pd, per esempio. Con Nicola Zingaretti segretario, il partito sembrava propenso a lasciare la strada del maggioritario. Poi è arrivato Enrico Letta e i dem si sono spostati sul Mattarellum. Ieri, l’ufficializzazione della nuova svolta pd: tutto il partito è unito sul proporzionale. I 5 stelle, invece, sono da tempo favorevoli a quel sistema, che, per dirla alla Giuseppe Conte «rappresenta la soluzione migliore». Anche per Leu la via da imboccare è quella. Lo stesso dicasi, seppur con accenti diversi, per Italia viva e Azione.

Le cose si fanno più complicate se si passa nel campo del centrodestra. Ufficialmente questo schieramento è tutto compatto per il «no» al proporzionale. Ma a ben guardare quel polo non è poi il monolite che appare. Dentro Forza Italia, dove pure Silvio Berlusconi ha dichiarato di preferire il maggioritario, emerge da più parti la voglia di proporzionale. Matteo Salvini nella sue ultime esternazioni ha ribadito la sua contrarietà a «tornare indietro» con la legge elettorale. Eppure anche nel suo movimento sta prendendo piede un «partito proporzionalista». E non bisogna dimenticare che Salvini non è nuovo a svolte e retromarcia improvvisi: potrebbe cambiare idea per sbarrare il passo a Giorgia Meloni. E a proposito della leader di Fratelli d’Italia: per Fdi l’unica riforma elettorale possibile è il Mattarellum. E i colonnelli di Giorgia Meloni promettono di dare battaglia nel caso in cui in Parlamento si provi a forzare la mano per virare sul proporzionale. Eppure in casa pd, dove non hanno perso del tutto la speranza, c’è chi ritiene che alla fine della festa il proporzionale potrebbe far comodo a Meloni, se la leader di Fdi ha veramente l’intenzione di correre da sola alle prossime elezioni politiche.

Dunque il dibattito sulla riforma elettorale non ha ancora un esito scontato. Il fatto che manchino solo dieci mesi alla fine della legislatura ha comunque un suo peso: per procedere alla riforma in tempi celeri ci vorrebbe un accordo amplissimo. Del resto, Matteo Renzi ricorda sempre che per far passare il Rosatellum, ossia l’attuale sistema, dovette mettere la fiducia. Questione che adesso non si pone perché il governo Draghi con questa materia non ha nulla a che fare.

C’è anche da tenere conto delle diverse sfumature di proporzionale esistenti. Alla Camera è stata depositata nel settembre 2020 una proposta di legge a firma di Giuseppe Brescia, il presidente 5 stelle della Commissione Affari costituzionali, che raccoglieva i desiderata della fu maggioranza giallorossa. I grillini propongono di ripartire da lì. Quel testo prevede una soglia di sbarramento del 5 per cento. Soglia che però vede la contrarietà di Leu, che attualmente nei sondaggi è data all’1,7. La proposta non risolve nemmeno lo spinoso tema delle preferenze. Italia viva le vuole e le pone come condizione per il suo si.

Ieri, nel seminario organizzato da Matteo Orfini sul proporzionale, Fausto Raciti ha avanzato un’ipotesi: capilista bloccati e doppia preferenza di genere. Si sente invece parlare poco del sistema spagnolo, cioè quello che prevede collegi molto piccoli, generando così un effetto maggioritario che finisce per favorire i partiti maggiori. Cioè, per quanto riguarda l’Italia, Pd e Fdi. Potrebbe essere un’esca per convincere Meloni a cambiare rotta? Insomma, le ipotesi e gli interrogativi sono molti. Un solo dato è certo: la fu maggioranza giallorossa, 5 stelle, Pd e Leu, ha 252 deputati e 118 senatori. Perciò, o si muove qualcosa nel centrodestra o nel 2023 si tornerà a votare con il Rosatellum.

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