Aldo Cazzullo su Corriere della Sera 27 gennaio 2009
Colloquio con il leader dei democratici
Il leader del PD: «Dell’ingegnere editore oltre alla passione civile, mi è sempre piaciuta la discrezione»
«De Benedetti e la tessera numero 1 del Pd, solo una boutade»
«Di Carlo De Benedetti, oltre alla passione civile, mi è sempre piaciuta la discrezione. Di un uomo appassionato alla vita pubblica, in Italia si tende a pensare che si ponga come un suggeritore.
Nulla di più distante dal modo di fare di De Benedetti. Con lui c’era e spero proprio ci sarà ancora un dialogo, ci vedevamo a cena due, tre volte l’anno, ci sentivamo al telefono; mai però mi ha dato un suggerimento su una politica da seguire o da abbandonare. Amava ascoltare. Faceva domande, magari avanzava critiche; ma da cittadino, da uomo di centrosinistra, non da editore. Era troppo rispettoso della distinzione di ruoli tra imprenditoria e politica e in particolare tra editoria e politica; e poi è una persona cortese, simpatica. Doti che nel mondo d’oggi si vanno un po’ perdendo. Per questo mi è sempre piaciuto ». Walter Veltroni è il leader di quel Partito democratico di cui, come ricorda spesso il Foglio, Carlo De Benedetti rivendicava la tessera numero uno.
«Quella fu una battuta. Una boutade che, come accade in Italia, se pronunciata da un uomo che potrebbe permettersela diventa una cosa seria, e se detta da un uomo che ha responsabilità istituzionali resta uno scherzo». E’ vero però, riconosce Veltroni, che «i giornali di De Benedetti hanno avuto un ruolo molto importante nell’evoluzione della sinistra italiana. Ricordo quando, ai tempi del crollo del Muro e della trasformazione del Pci, coltivavamo con Scalfari il sogno di un partito che un giorno potesse unire i riformismi italiani. Quella spinta verso l’innovazione è stata la bussola della storia di De Benedetti editore». Dovendo ricordare un episodio della consuetudine con l’Ingegnere, a Veltroni viene in mente la telefonata ricevuta subito dopo il discorso del Lingotto, che diede il via alla campagna per le primarie. «De Benedetti non aveva apprezzato solo il discorso. Aveva apprezzato la scelta della sua città. La cultura di De Benedetti è molto legata alla tradizione dell’azionismo torinese, allo spirito di Comunità di Adriano Olivetti, al pensiero laico tramandato da uomini come Visentini e Ciampi. Una cultura non ideologica ma molto seria, rispettosa della produttività dell’impresa e delle regole del gioco e attenta alla giustizia sociale; una cultura che in Italia purtroppo non è mai stata maggioritaria, ma ha rappresentato una linfa vitale per il processo di modernizzazione del Paese. Non è un caso che, dopo la grande stagione di Scalfari, De Benedetti abbia voluto alla guida di Repubblica un uomo impregnato della cultura torinese dei Bobbio e dei Galante Garrone, come Ezio Mauro».
Le vicende di questi anni, ricorda Veltroni, sono segnate dalla «difesa forte dell’autonomia e dell’identità dei giornali del gruppo che, sotto la presidenza e con la proprietà di De Benedetti, sono rimasti coerenti con l’impostazione originaria. Di Caracciolo, Scalfari, De Benedetti si può dire quel che si vuole, ma non che non abbiano aiutato l’Italia a cambiare in meglio. Chi potrebbe dire che senza L’Espresso, Repubblica e i quotidiani della Fininvest l’Italia sarebbe migliore? Forse un uomo della destra ideologica potrebbe farlo; ma sbaglierebbe. Penso alle storiche campagne dell’Espresso contro la corruzione e per i diritti civili. Certo ci sono stati anche errori, eccessi, ingiustizie; non conosco una stampa che non ne commetta. Ma quanto sarebbe più povera la scena culturale italiana, se ci fossero solo i giornali di destra e i giornali di sinistra, se non esistessero testate in grado di interpretare l’opinione pubblica democratica e progressista senza per questo perdere indipendenza di giudizio. Un tempo, quando Repubblica nacque a metà degli Anni Settanta, non ci accorgevamo della compressione della cultura di destra, ma oggi il pericolo è semmai che avvenga l’opposto». La memoria va agli anni della guerra di Segrate per il controllo della Mondadori. «Allora il Paese rischiò grosso. De Benedetti e i suoi salvarono il pluralismo dell’informazione. Se la battaglia ingaggiata con Berlusconi fosse stata perduta, ora ne avvertiremmo gli effetti drammatici nel clima già di per sé asfissiante, da cappa di piombo, di questi giorni». Adesso sembra aprirsi un’incognita per il futuro. «Non direi — prevede Veltroni —. Credo proprio che, prima di lasciare, De Benedetti abbia assicurato ai suoi vascelli un ancoraggio solido. E poi trovo bello che un uomo di 75 anni, dopo cinquant’anni di lavoro, passi la mano a una nuova generazione. Mi pare coerente con il suo modo di essere».