Europei uniti, ma c’è rissa sui rimborsi all’invio di armi

Francesco Verderami Corriere della Sera 21 Maggio 2021

 

Armi all’Ucraina, i Paesi europei litigano sui rimborsi

 

Il costo della solidarietà a Kiev: la Germania chiede chiarezza ai partner. L’Italia si tiene fuori dallo scontro


La solidarietà all’Ucraina ha un costo che l’Europa provvede a rimborsare. Ma anche sui soldi per gli aiuti bellici a Kiev i Paesi dell’Ue hanno preso a litigare. Sospetti di «mancata trasparenza» e ritorsioni per «mancate restituzioni» stanno impegnando l’Unione nell’ennesimo conflitto economico, mentre è in atto un conflitto vero e proprio nel bel mezzo del Vecchio Continente. E pensare che all’inizio della storia (quasi) tutti avevano messo la mano sul cuore oltre che sul portafoglio. Allo scoppio della guerra, infatti, Bruxelles decise di usare un fondo per sostenere i Paesi dell’Ue che avrebbero fornito «assistenza» alle Forze armate ucraine. Così venne attivato l’Epf, lo strumento europeo per la pace che agisce fuori bilancio: in pratica, chi avesse ceduto armi alla resistenza, sarebbe stato rimborsato.
Ma già all’appuntamento per la tranche iniziale, le cose si sono messe male. Intanto lo Stato maggiore dell’Unione — che ha il compito di vagliare le richieste di restituzione prima di girarle all’Epf — ha tagliato i rimborsi: a fronte dei 703 milioni rivendicati dai Paesi europei per il «materiale letale e non letale» consegnato all’Ucraina, ne ha validati solo 596. Inoltre, siccome in questa fase la soglia massima del fondo è di 450 milioni, ha stabilito le quote percentuali per dividere i soldi. E già così l’afflato di tre mesi fa ha iniziato a spegnersi. Anche perché la prima tranche si limita alla fornitura di armi «fino al 10 marzo». Da allora gli Stati membri hanno già inoltrato alla struttura militare altre spese, per più di un miliardo e duecento milioni. Peccato che al momento i rimborsi validati siano meno della metà. Il resto è «sotto esame».

È accaduto che nel frattempo Bruxelles ha chiesto ai Paesi europei di presentare nuove specifiche e documenti, come forma di «garanzia» per la «trasparenza e la correttezza» delle procedure. Nei modi e nei toni che la diplomazia impone, la richiesta somiglia a una sorta di avvertimento contro la solidarietà creativa. Cosa che la Germania ha di fatto denunciato nell’ultima riunione. Perché a Berlino — dove attendono indietro 31 milioni — sentono puzza di bruciato: vogliono capire quale criterio contabile applichino i partner quando cedono materiale bellico fuori produzione e chiedono però il rimborso sulla base del «costo di sostituzione» con le armi nuove. Insomma, puntano il mirino contro «la cresta». È tale la forma di sospetto che il rappresentante tedesco, «a nome del nostro ministero federale delle Finanze», ha minacciato di non dare il via libera ai fondi in assenza di «ulteriori chiarimenti».
È stato come accendere un cerino in un arsenale. Il Belgio si è subito schierato con la Germania, anche perché dei venti milioni di rimborso gliene sono stati accordati solo due. Danimarca e Olanda (venti milioni insieme) hanno subito espresso — manco a dirlo — «simpatia» per la posizione di Berlino, sottolineando peraltro che il fondo Epf ha in dotazione solo due miliardi «e non si possono dimenticare gli aiuti ad altre parti del mondo». La Svezia ha detto «io l’avevo detto». Il Portogallo si è infuriato con gli alleati che chiedono subito i soldi indietro. L’Ungheria, che guarda caso non ha rimborsi perché non ha dato armi all’Ucraina, ha messo in chiaro che non metterà un euro in più rispetto ai contributi già previsti.

Dal dibattito s’intuisce come il grado di vicinanza a Kiev dei Paesi europei sia legato al numero di chilometri che li separano da Mosca. Ci sarà un motivo infatti se l’Estonia vanta e per distacco la richiesta di maggior rimborso (160 milioni), seguito da Lettonia (59), Slovacchia (47), Polonia (44), Lituania (30). La Francia, presidente di turno, mira ad alzare il tetto del bilancio Epf. In questo appoggiata dall’Italia, che ha un credito di 48 milioni e per una volta sembra — il condizionale è d’obbligo — non essere al centro delle attenzioni tedesche. Perciò, sembra, si sia tenuta fuori dalla rissa. Rissa che ha impedito di chiudere la discussione sulla prima tranche dei contributi. Figurarsi cosa accadrà con la seconda.

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