Sport alla grande nelle serie tv, l’estro del passato, la forza del presente

Aldo Grasso Corriere della Sera 2 giugno 2022
Gli sport e la tv: quando l’aggressività sottomette lo spettacolo
È come se l’imprevedibile, che è l’essenza stessa dello stupore, fosse ormai bandito dallo sport a scapito della spettacolarità, che è l’essenza stessa della rappresentazione.

 

Martedì sera, seguendo l’incontro di tennis Nadal-Djokovic al Roland Garros (Eurosport) mi sono tornate in mente alcune parole di Adriano Panatta che impreziosiscono ancora di più la splendida serie «Una squadra»: la lentezza aiuta il pensiero, più giochi veloce meno pensi. E infatti, paradosso dei paradossi, l’evoluzione degli sport contemporanei ha portato alla scomparsa di quegli elementi spettacolari che sono pur sempre il pane quotidiano dello sport in tv. Nei filmati di repertorio di «Una squadra» ho avuto modo di ammirare alcuni colpi di Panatta davvero fantastici: tuffi, schemi imprevedibili, attacco slice e conclusione con veronica (ho preso appunti per non scrivere cavolate). Poi sono arrivati i «pallettari», poi sono arrivati quelli che battono a 200 all’ora, poi sono arrivati quelli che fanno della velocità e dell’aggressività di gioco il loro punto forte. La smetto qui per non farmi prendere in giro dagli esperti, ma credo che qualcosa di analogo stia succedendo in tutti gli altri sport.

Si è appena concluso il Giro d’Italia, senza che ci sia stata un’impresa: la corsa si è combattuta in prevalenza negli ultimi cinque km della tappa. A cosa è dovuto questo livellamento: all’evoluzione dei mezzi tecnici, agli allenamenti in altura, alle radioline? Anche nel calcio, salvo rare eccezioni, si assiste a partite giocate più sull’atletismo, sull’aggressività, sull’esasperazione della tattica che sull’inventiva individuale. Colpa degli allenatori che non lasciano più che i ragazzini pensino solo a divertirsi? Anche nell’automobilismo conta di più il pit stop che la bravura del pilota. E la televisione ne soffre, perché c’è meno creatività, meno fantasia, meno spettacolo (e più parole). È come se l’imprevedibile, che è l’essenza stessa dello stupore, fosse ormai bandito dallo sport a scapito della spettacolarità, che è l’essenza stessa della rappresentazione.

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