Il centro che sogna Claudio Cerasa

Claudio Cerasa il Foglio 08 Giugno 2022
Unire Renzi e Calenda si può.
Un progetto necessario, spiegato con le parole di Sala
Non far diventare impossibile una missione possibile a patto che i due gemelli diversi riescano a fare quello che oggi misteriosamente risulta difficile da immaginare: considerare il cosa fare prioritario rispetto a chi dovrà mettere il suo volto nel progetto


Hanno la stessa visione del mondo. Hanno lo stesso amore per l’Europa. Hanno lo stesso affetto per l’atlantismo. Hanno gli stessi nemici in comune. Hanno la stessa passione per Emmanuel Macron. Hanno percorsi diversi e caratteri complicati ma entrambi, alla fine, lavorano per raggiungere un obiettivo simile, strategico, simmetrico, ambizioso. Il primo sogna di creare una sorta di area Draghi, così l’ha definita, capace di mettere insieme tutti coloro che si riconoscono nell’agenda politica portata avanti dal presidente del Consiglio. Il secondo sogna di dare forza al suo progetto, al suo partito, creando un polo alternativo rispetto a quelli attuali, per tentare di creare nella prossima legislatura uno spazio utile per permettere a Mario Draghi di restare incollato laddove si trova oggi.

Il primo, Matteo Renzi, dice che non dare una casa e un tetto a Mario Draghi, per egocentrismo personale, è folle. Il secondo, Carlo Calenda, dice che già a queste amministrative, dove ha scelto di non allearsi mai né con il M5s né con Fratelli d’Italia, proverà a mettere un altro tassello nella sua strategia della costruzione del “polo del pragmatismo e del buongoverno che lavorerà per spezzare il bi-populismo, cioè per evitare che vinca una delle due coalizioni alle prossime elezioni” e lo farò con l’idea di mettere tra i due poli un terzo polo capace di diventare una calamita. Renzi e Calenda lo dicono con parole diverse, lo dicono stuzzicandosi, lo dicono infilandosi le dita negli occhi, ma lo dicono sapendo più o meno inconsapevolmente che le loro strade, che non è detto che si incontrino, non possono non incontrarsi. Non si sa come, non si sa quando, non si sa in che modo ma l’idea che sia necessario costruire una grande calamita capace di rubacchiare voti ai vecchi partiti populisti e fare concorrenza in modo strutturato a una destra che difficilmente da qui alle politiche riuscirà a emanciparsi dal vecchio populismo è un’idea ambiziosa, seria, che meriterebbe di essere messa a terra, dai due protagonisti, senza perdersi nei dettagli, nei risentimenti, nei livori. Non sarà facile metterli insieme perché Renzi e Calenda sono due politici con idee simili ma con un approccio politico diverso. E quando l’efficace trasversalismo promiscuo (Renzi) si incrocia con l’ambizioso integralismo solitario (Calenda) l’effetto delle calamite che piuttosto che attrarsi tendono a distanziarsi è un effetto che deve essere messo nel conto. Eppure la strada è lì. E’ segnata. E’ chiara. E’ piena di ostacoli, dovuti non solo al carattere ma a una scelta non scontata, stare in mezzo ai due poli o stare dentro a uno dei due poli, ed è una strada che può trovare una sua soluzione, una sua dimensione, solo a condizione che i due gemelli diversi, Renzi e Calenda, riescano a fare quello che oggi misteriosamente risulta difficile da immaginare: considerare il cosa fare prioritario rispetto a chi dovrà mettere il suo volto nel progetto. Sfidare i poli. Federare. Aggregare. Accorpare. Non disperdere le energie.

Entrambi, Renzi e Calenda, sanno che la strada è quella, entrambi sanno che la strada è difficile, entrambi con la coda dell’occhio cercano qualcuno che possa aiutarli a mettere insieme i pezzi di un soggetto che c’è, esiste, ma ancora non si vede. Qualcuno, per esempio, come Beppe Sala, sindaco di Milano, desideroso di dare una mano al progetto di aggregazione non per aiutare a far nascere un soggetto di centro ma, sono sue parole, per aiutare a dar corpo “a un programma progressista ed ecologista”, capace di sfidare gli istinti anti sistema del paese. Sala, a chi gli ha parlato in queste ore, dice che questo non è il suo tempo, o forse ancora non lo è, ma dice, da possibile regista, di essere sensibile al tema, e con un soffio concede al suo interlocutore una frase utile: “La formula non la conosco, ma l’esigenza di aggregare le forze che hanno a cuore l’agenda Draghi è un’esigenza concreta, reale, che esiste nel paese”. Il campo magnetico c’è, esiste. Non attivarlo sarebbe un errore politicamente più pericoloso di un crimine.

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