A destra tocca ora alla Meloni, la Lega torna in Padania

Giovanni Orsina La Stampa 14 Giugno 2022
La Lega non è più partito nazionale
Trarre conclusioni generali da una tornata parziale di elezioni amministrative è sempre un azzardo. Le specificità locali contano molto, ovviamente; conta il disuguale radicamento territoriale dei partiti; e pesa infine l’impatto differente dell’astensione: quel quindici per cento di elettori che non si scomoda a votare per il consiglio comunale, ma si scomoderà per il Parlamento.

 

Con le cautele del caso, tuttavia, è possibile sostenere che questo primo turno di elezioni municipali abbia sostanzialmente confermato quel che ci segnalano da mesi i sondaggi nazionali: in un panorama molto frastagliato, c’è un blocco elettorale di destra-centro che vale quasi la metà dei votanti. Se i partiti di riferimento riescono a mobilitarlo in solido, per gli altri concorrenti la gara si fa difficile.
Quel blocco si è sempre dimostrato più omogeneo del dirimpettaio blocco progressista. Lo è, per paradosso, anche perché è meno politicizzato: meno raffinato, meno educato, meno ideologico, meno interessato alle mille sfumature della politica, e perciò meno propenso a dividersi in altrettanti fiumi, torrenti e rigagnoli. In questi ultimi anni, poi, il blocco di destra è stato attraversato solo in minima parte dalla nuova frattura emergente fra establishment e protesta. Nella loro grande maggioranza quegli elettori non si sono mai sentiti establishment, infatti, nemmeno quando votavano per un partito della famiglia popolare europea come il Popolo delle libertà. Le forze politiche di destra infine, malgrado dissidi tutt’altro che secondari, sono in definitiva riuscite a tenersi più unite della coppia Partito democratico-Movimento 5 Stelle, come ha evidenziato un’analisi dell’Istituto Cattaneo sui 142 comuni con più di quindicimila abitanti che sono andati al voto. Se a destra troviamo un blocco elettorale più coerente e un’alleanza relativamente più solida che a sinistra, rimangono tuttavia aperte le questioni relative all’identità di quell’alleanza e alla sua capacità di sostenere una proposta credibile di governo del Paese. A che punto fosse la competizione fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni era una delle domande cui si pensava che queste elezioni potessero rispondere.

La risposta, in effetti, è arrivata: il sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega che i sondaggi segnalano da mesi è stato confermato dalle urne, anche al nord. Almeno in parte, questo sorpasso può essere spiegato guardando a cause congiunturali, e in particolare ai tanti errori che Salvini ha accumulato a partire dall’estate del 2019 – spallate mancate al governo Conte II, elezione del Capo dello Stato, improvvide iniziative di politica internazionale, scommessa fallimentare sui referendum –, e alla linea cauta e coerente che ha seguito invece Meloni.

Ai fattori congiunturali, però, è forse possibile aggiungere pure una spiegazione un po’ più «profonda». Forse la Lega, robusta e radicata sì, ma pure segnata da un’irrinunciabile vocazione padana, era inadatta fin dall’inizio a riempire il vuoto elettorale e politico apertosi a destra con la crisi del berlusconismo e l’appassire di Forza Italia. Approfittando del clima populista, ovvero di un momento di caos e relativa sospensione delle logiche politiche, Salvini ha cercato di far svolgere a quel partito un compito che non gli apparteneva. E considerando che lo strumento era, appunto, inadatto, ha avuto fin troppo successo. La pandemia e il conflitto ucraino però, uniti al semplice scorrere del tempo, hanno restituito spazio alle logiche politiche tradizionali, togliendo ossigeno all’operazione tentata dal leader leghista. I cui errori degli ultimi anni possono forse essere spiegati anche in questa chiave: come effetto di una – per così dire – crescente ipossia politica. Simmetricamente, man mano che ci si è allontanati dallo zenit della stagione populista ed è apparsa sempre più evidente l’insufficienza della Lega quale strumento di conquista dell’egemonia sulla destra italiana, ha guadagnato spazio la tradizione nazionale rappresentata da Fratelli d’Italia.

Un partito di piccole dimensioni, in origine, e una tradizione che, come ben sappiamo, non porta con sé un’eredità soltanto positiva. E tuttavia, una tradizione che ha radici profonde nella storia d’Italia, che per definizione non soffre di limiti regionali, e che può per giunta apparire particolarmente adatta ad affrontare una stagione di relativa de-globalizzazione come la nostra. Il cammino verso la definizione di una destra post-berlusconiana è ancora lungo. Queste elezioni sembrano però confermare come Salvini e Meloni si trovino di fronte a due sfide assai diverse. La Lega dovrà capire che spazio ci sia, se c’è, per continuare a lavorare su un progetto nazionale, magari in alleanza con Forza Italia, o se non le convenga invece tornare all’originaria vocazione padana. Fratelli d’Italia dovrà dimostrare di saper gestire la tradizione nazionale, con le sue luci e le sue ombre ingombranti, e di saperci costruire intorno un progetto di governo adatto ai tempi non facili che ci attendono.

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