Il campo largo di Letta sfida la voglia di centro dilagante

 

Carlo Bertini La Stampa 15 Giugno 2022

 

La strategia di Letta, sei punti per unire Calenda e Conte
Il segretario: «Mi devono spiegare perché sono nemici». A Meloni: “Penso il peggio delle sue parole in Spagna”

 

 «Con pazienza riuscirò a mettere insieme Calenda, Conte, Renzi e il Pd». Come? Enrico Letta ci proverà col programma a tenere dentro tutti.

 

Non come Romano Prodi con le 280 pagine di quello che fu base per l’Unione del 2006, ma in stile Ulivo. Sei grandi temi su cui lavorare di fino per mettere d’accordo Calenda e Renzi, Conte e Speranza: Europa, scuola, sanità, ambiente, diritti. Francesco Boccia scherzando le battezza «le cinque stelle», guidate dalla sesta cometa che è il «lavoro», dopo che il segretario insieme ai suoi dirigenti più vicini ha fissato la linea per costruire la coalizione larga. Sono d’accordo anche i riformisti di Lorenzo Guerini a puntare sui temi, quando dicono – con Andrea Romano – «non dobbiamo dare alibi a Calenda per correre da solo, ma non dobbiamo chiuderci nel recinto della sinistra».

Del resto, Letta è convinto che «il centro non esiste: Calenda è interlocutore privilegiato, ma non deve mettere veti». Anche perché il suo boom «è un effetto ottico». Per ridimensionarlo lascia parlare Peppe Provenzano, che cita la media nazionale dei voti di lista di Youtrend, da cui esce «uno spappolamento generalizzato, M5S al 2%, Calenda e Renzi allo 0,6%. Il fantomatico terzo polo non toglie un voto a destra». Calenda invece dice che il terzo polo si presenterà nel 2023, puntando su Draghi premier: cita i grandi comuni, «dove abbiamo preso dal 13 al 22%».

Già nel chiuso delle stanze del Nazareno, comunque, appena il segretario è tornato ieri da Parigi, vengono messe in conto le difficoltà su ogni dossier: con Calenda bisognerà trattare sulla parte ambientale, dopo che si è detto favorevole al ritorno al carbone per superare il ricatto di Putin sul gas; con Conte si dovrà discutere sulla cornice europeista e atlantista, con Renzi sulle politiche sociali. Ma la strada è questa. Perché se pure il Pd è primo partito, «se fa un bellissimo risultato ma poi ci ritroviamo Salvini o Meloni presidenti del consiglio, la mia responsabilità è quella di costruire un’alleanza che regga. Conte e Calenda mi dovranno spiegare perché si considerano nemici assoluti». E per far capire il pericolo della Meloni premier, Letta bolla come «il male assoluto» le parole «xenofobe e razziste» – così le definisce Provenzano – del suo discorso per Vox in Spagna.
Ma i dem sono rinfrancati dalle comunali e Letta punta pure al bersaglio grosso: la Lombardia. Regione monopolizzata da decenni dalla destra, finora guardata col binocolo. Si va ai ballottaggi a Como, Monza e Sesto San Giovanni, dopo aver vinto Lodi. Non è più un sogno ad occhi aperti provare ad espugnarla. Con Calenda e Renzi, che guarda a Sala come leader nazionale. I flussi gli dicono che il Pd è riuscito a saltare il recinto delle Ztl, perché «nei due hinterland di Napoli e di Milano prendiamo 5 comuni su 7, un’evoluzione importante verso il ceto medio-basso, lavoratori, pendolari», spiegano i suoi analisti. «Vogliamo costruire un’ampia coalizione per arrivare al governo regionale», dice il segretario regionale, Vinicio Peluffo.

Ma nel partito già soffia un vento di cambiamento, cui dà voce l’apripista dei riformisti, Andrea Marcucci: «Oggi, come 30 anni fecero Prodi e Parisi con l’Ulivo, serve la politica per costruire un’alleanza larga per davvero. I contraenti sono il Pd, Azione, Italia Viva, la sinistra, la componente liberale di FI. Conte? Deciderà lui, io vedo molte sintonie con il ministro Di Maio», è la perfida chiusa. Già, Conte. Molti pensano sia ridotto male. Lo dice Calenda senza peli sulla lingua: «I Cinque Stelle sono garanzia di perdere, sono defunti». La verità è che nel Pd sono in molti a sentire il pericolo di un’alleanza esclusiva con i 5 Stelle e l’attenzione ora è rivolta a Calenda, con la convinzione che il muro da lui eretto sia finto, «perché sa che le sue azioni ora valgono molto di più e lo farà pesare fino a ottobre, quando si discuterà anche di candidature. E a lui ne andranno promesse una sessantina…», prevede un ex renziano del Pd.

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