Retroscenismo di una dilettantesca congiura di palazzo

 

Andrea Malaguti La Stampa 30 Giugno 2022

 

La tragica commedia della slealtà

 

Le conseguenze della slealtà. Ci sarebbe qualcosa di inaccettabile e di profondamente sgradevole nella supposta decisione del presidente del Consiglio, Mario Draghi, di suggerire a Beppe Grillo l’avvicendamento di Giuseppe Conte alla guida del Movimento 5 Stelle. Una richiesta che il premier, rispondendo a domanda diretta, non smentisce personalmente, consentendo che a farlo per lui sia la sua portavoce, Paola Ansuini, ma solo alle otto di sera.

 

In coda a una giornata che si sviluppa come uno psicodramma shakespeariano, lasciando presagire l’immanenza di una crisi di governo e spingendo Conte a incontrare il presidente Mattarella, resta aperta una domanda: chi sta barando, e perché, in questo gioco al massacro che mette a rischio la stabilità del Paese?

Mettiamo in fila gli scenari. Ipotesi uno. Bara Draghi. Significherebbe che il rigoroso algoritmo che regola le sue azioni, e che tanto rassicura gli interlocutori internazionali e interni, all’improvviso è andato in panne, rivelando il suo lato più fragile e nascosto, per non dire sorprendentemente oscuro. L’obiettivo: incassato il corposo appoggio dei dimaiani, disarcionare Conte, il premier che lo ha preceduto, il leader con cui non ha mai legato, l’uomo che gli ha impedito di salire al Colle, il capo del Movimento che mette in discussione ogni sua decisione, dal cash-back alle armi in Ucraina. Bene.

Ma perché coinvolgere nel progetto Beppe Grillo, un signore abituato a far passare le confidenze dalle orecchie alla bocca in tempo reale?

Ha sopravvalutato il suo rapporto con l’Elevato, gli piace giocare d’azzardo, ha voglia di esporre allo sberleffo pubblico lo sgradito compagno di viaggio, o ha deciso scientificamente di farlo scendere dalla carovana in modo democraticamente – e persino esteticamente – irricevibile? Qualunque fosse la riposta sarebbe ugualmente amara. Palazzo Chigi però, derubrica il dibattito a ridicole invenzioni. Per quanto gli si voglia credere è complicato non notare la goffaggine con cui è stata gestita l’emergenza tuttora in atto. Intanto Draghi torna in fretta e furia a Roma per rimediare all’apparentemente irrimediabile.

Scenario numero due. Bara Beppe Grillo, l’ex comico genovese, afflitto da un evidente disturbo bipolare dell’umore politico, capace di stare perennemente dritto sulla linea sottile che divide la pazzia dal vuoto, potrebbe avere propalato la bufala per un duplice scopo. Dimostrare la sua fedeltà nei confronti di Conte e supportarlo dopo la scissione (come sostiene metà del Movimento) o piuttosto per affossarlo definitivamente (come sostiene l’altra metà).

Di sicuro le chiacchiere in libertà dell’Elevato ancora una volta hanno prodotto il caos, unica costante della sua esperienza post-casaleggiana. Anche Grillo ha derubricato il dibattito a ridicole invenzioni. Dimenticando di avvisare parlamentari e sociologi amici della sua retromarcia.

Scenario numero tre. Bara Conte, capopopolo traballante, costretto fino a ieri ad aggrapparsi a un’inconsistente serie di scuse per evocare – senza mai produrla – la fuoriuscita dal governo nel mezzo della più violenta crisi mondiale del millennio. Intimamente convinto che dietro la congiura di Di Maio ci sia palazzo Chigi, strumentalizza la chiacchiera diventata notizia per uscire dall’angolo delle sue incertezze e legittimare il suo ruolo di oppositore ufficiale. Chi potrebbe accusarlo se abbandonasse ora il governo extra-large per evidente impossibilità di ricostruire il rapporto di fiducia con la Guida Suprema? Ogni difetto ha il suo momento di gloria. Per il periclitante leader 5 Stelle il momento è adesso. Viveva di riflesso, ha il pallino in mano, le sue scuse sono diventate un motivo. Vero o inventato che sia, il conto alla rovescia del distacco è cominciato. Non c’è più bisogno di un perché, basta solo un quando.

Draghi, Conte, Grillo, allora. Che stiano barando (ed è facile che non lo sapremo mai) o che siano soltanto al centro di un devastante equivoco, siamo di fronte al triangolo della sconfitta collettiva. Che rischia di travolgere tutti. Perché se è vero che anche senza i Cinque Stelle il governo ha i numeri per proseguire, è difficile immaginare che nell’anno elettorale, il pur frastornato Matteo Salvini non realizzi che la permanenza nell’esecutivo in compagnia del solo Pd e di un centro sempre più confuso, finirebbe per renderlo sovrapponibile, agli occhi degli elettori, alle forze che incarnano il sistema declinante. E non a quelle che melonianamente e, a questo punto, contianamente, lo vogliono ribaltare. Non è un caso se proprio nelle ore in cui si consumava l’imbarazzante corto-cricuito Conte-Draghi, il Capitano convocava un vertice d’urgenza sullo Ius Scholae, minacciando a sua volta una rottura. Guardate me, per favore. Chissà se l’algoritmo Draghi era impostato per calcolare le conseguenze della slealtà e degli equivoci. Suoi o dei suoi alleati, ormai poco importa.

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