Abe Shinzo, il premier amico degli Stati Uniti

Lorenzo Lamperti La Stampa 09 Luglio 2022

 

Abe Shinzo, il premier amico degli Stati Uniti che ha cambiato il volto del Giappone

 

Iper conservatore, la sua ascesa è stata favorita dal sostegno dei gruppi nazionalisti di destra. I critici ritengono che abbia avviato una pericolosa fase di revisionismo storico

 

el suo destino c’è sempre stata la politica. Ma la sua longevità al potere non poteva prevederla nessuno. Abe Shinzo, deceduto poco fa dopo aver subito un attentato a Nara, ha un ruolo fondamentale nella storia recente del Giappone. In un Paese in cui le dinastie politiche sono la regola, la sua ascesa al potere è stata facilitata dalle carriere del nonno e del padre. Il primo era Kishi Nobusuke, primo ministro tra il 1957 e il 1960. Una figura controversa, accusato insieme ad altri politici e militari giapponesi di aver commesso crimini di Classe A durante la seconda guerra mondiale. Il padre, Abe Shintaro, è stato ministro degli Esteri negli anni Ottanta.

Lui è diventato primo ministro per la prima volta nel 2006, dopo essere nominato presidente del Partito liberaldemocratico. Una sorta di equazione in Giappone, dove il Jiminto governa quasi ininterrottamente da decenni, se si eccettua la parentesi 2009-2012. In quel momento aveva 52 anni e diventò il leader più giovane del dopoguerra e il primo a essere nato dopo l’armistizio. Il suo primo regno dura però solo un anno, interrotto nel 2007 a causa dell’aggravarsi di una colite ulcerosa.

Abe sembra dunque destinato a diventare uno dei molteplici ex premier giapponesi. Nei 20 anni prima della sua seconda nomina, nel 2012, Tokyo ha infatti visto cambiare ben 15 capi di governo. E invece lui riesce a tornare alla ribalta. Per restarci. Dopo aver vinto le primarie interne al Jiminto, nel 2012 stravince le elezioni anche grazie alle conseguenze politiche del disastro di Fukushima sul partito rivale. Stavolta Abe resta alla guida del Giappone per otto anni: un record. Nel mondo è conosciuto soprattutto per le sue politiche economiche, ribattezzate sotto l’ombrello «Abenomics». La strategia era intesa come terapia d’urto per un’economia che era diventata stagnante dopo un lungo boom postbellico e mettere così fine ai due «decenni perduti». La strategia delle «tre frecce» di Abe prevedeva una combinazione di allentamento monetario, aumento della spesa pubblica e riforme economiche. I pareri sulla riuscita della Abenomics non sono unanimi e molti analisti sottolineano i pochi cambiamenti strutturali e la mancata interruzione del ciclo di inflazione troppo bassa.
Ma Abe ha cambiato il volto del Giappone anche sul fronte politico e diplomatico. Iper conservatore, la sua ascesa è stata favorita dal sostegno dei gruppi nazionalisti di destra. I critici ritengono che abbia avviato una pericolosa fase di revisionismo storico. Abe ha espresso diverse volte il desiderio di modificare la Costituzione giapponese emendando l’articolo 9, che stabilisce la rinuncia del Giappone alla guerra e proibisce l’utilizzo di armi offensive. L’esercito nipponico si chiama infatti forza di autodifesa.

Ha inoltre stretto ulteriormente il legame con gli Stati Uniti, cimentandosi anche a giocare a golf con Donald Trump. Aveva comunque anche avviato una fase di distensione nei rapporti con la Cina, bruscamente interrotta con l’inizio della pandemia di Covid-19. Qualche tentennamento nel chiudere i confini con Pechino, motivato da una programmata (e poi cancellata) visita di Xi Jinping, gli ha causato diverse critiche. Da lì ha assunto una posizione molto più critica nei confronti del vicino, esponendosi anche su dossier solitamente evitati dalla diplomazia giapponese come Hong Kong e Xinjiang.

Nell’estate del 2020, dopo essere stato costretto a rinviare i Giochi Olimpici di Tokyo che considerava come il palcoscenico per la sua eredità politica, ha dovuto lasciare per la seconda volta. Sempre per motivi di salute. Prima al fido Suga Yoshihide, poi all’attuale premier Kishida Fumio. Abe era però rimasto una figura prominente della politica giapponese e da molti considerato ancora il deus ex machina di quanto accade dentro il Jiminto, e dunque dentro il governo. Negli scorsi mesi ha accentuato ulteriormente la sua posizione ostile nei confronti della Cina. A Pechino si sono molto arrabbiati per il suo recente invito agli Stati Uniti di abbandonare l’ambiguità strategica su Taiwan e dire esplicitamente che i militari americani interverrebbero in caso di invasione.

La sua morte è uno choc che può cambiare il volto del Giappone.

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