La crisi si vede ma non c’è. Per ora prevale la fiction

Francesco Verderami Corriere della Sera 12 luglio 2022
Draghi, lo strappo M5S e quella frase: «Ne ho piene le tasche»
L’irritazione del premier per lo strappo del Movimento, che lo ha portato lunedì ad andare a colloquio da Mattarella al Quirinale. Ma continua a cercare una soluzione

 

La crisi si vede ma non c’è. È l’effetto ottico degli sfrenati tatticismi grillini, che la scorsa settimana alla Camera hanno votato la fiducia sul decreto Aiuti. E che ieri non hanno votato, sempre alla Camera, lo stesso decreto Aiuti. Non ci fosse da varare la Finanziaria per evitare di mandare l’Italia in esercizio provvisorio, e non dovesse tener fede agli accordi con l’Europa completando per dicembre gli ultimi adempimenti sul Pnrr, il premier ne avrebbe già tratto le conseguenze. Perché ne ha «le tasche piene», come ha confidato a Tajani durante una conversazione in cui lo avvisava che sulla riforma della Concorrenza non avrebbe accettato modifiche alle norme sui tassisti.
Era chiaro che il colloquio sarebbe virato sulle vicende politiche. E quando il dirigente azzurro lo ha avvertito che Berlusconi non sarebbe rimasto a guardare l’opera di logoramento del M5S sul governo, Draghi l’ha interrotto: «Non lo consentirò. Non permetterò che questa situazione si trascini a lungo. E se non si comporrà, sarò io a salire al Quirinale». L’incontro informale di ieri con il capo dello Stato potrebbe precederne un altro, di tenore diverso, se il Movimento decidesse giovedì al Senato di non partecipare al voto di fiducia sul dl Aiuti. Nel corso della giornata i vertici del Pd — da Letta a Franceschini — hanno provato a dissuadere Conte. Ma a Palazzo Madama il gruppo grillino è composto per larga parte dagli irriducibili, e il leader cinquestelle non ha la forza per imporre il contrordine.

Se questo fosse lo scenario, il premier potrebbe decidere di rassegnare il mandato a Mattarella, che lo rimanderebbe alle Camere per verificare se ha ancora la loro fiducia. La crisi si aprirebbe e si chiuderebbe nel volgere di qualche giorno, a meno che la situazione non sfugga di mano. Ma la crisi non c’è perché è il M5S che non la vuole, nonostante la stia provocando. E di questa schizofrenia politica c’è la prova in una telefonata del grillino D’Incà al capogruppo di Forza Italia Barelli. Quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha letto che il Cavaliere chiedeva una «verifica della maggioranza», si è aggrappato al cellulare per spiegare che «non è il caso di drammatizzare», che «sono solo schermaglie politiche», che «anche la Lega non votò il decreto sul green pass». «Ma i tuoi — gli ha risposto Barelli — minacciano la crisi su un provvedimento da 23 miliardi per famiglie e imprese».

È singolare che nel giorno in cui Conte radicalizza lo scontro con palazzo Chigi, un suo uomo di governo si adoperi a fare il pompiere. In realtà persino il leader di M5S cerca di derubricare la faccenda, sostenendo che l’affondo sul dl Aiuti «era stato anticipato». È la testimonianza di come il Movimento si ritrovi vittima delle sue stesse macchinazioni. Se il capogruppo azzurro ha poi formalizzato in Aula la richiesta di una «verifica», nonostante le ritrosie del Carroccio, è perché FI prova a cercare la via delle urne: per cogliere d’infilata il Pd, soffocare nella culla le operazioni al centro e impedire che si apra una trattativa sulla legge elettorale. Ma anche in Forza Italia il primo a fare professione di realismo è Berlusconi, convinto che «lo spazio per il voto non c’è. Mattarella non ce lo concederebbe».

Insomma, la crisi si vede ma non c’è. Perché c’è la Finanziaria, c’è il Pnrr e c’è la crisi internazionale. E tutti sono costretti al loro ruolo. I grillini, che potrebbero non votare giovedì al Senato ma che poi rinnoverebbero la fiducia al premier. I forzisti, che chiedono la verifica ma dovranno accontentarsi del discorso di Draghi alle Camere. I leghisti, che attendono Pontida come un evento messianico, sapendo che a settembre sarebbe tardi per rompere. I democratici, che subiscono le convulsioni del Movimento e non sanno che tipo di campo costruire. E persino il premier che, per quanto ne abbia le «tasche piene», è consapevole di dover guidare il governo e onorare gli impegni presi dal Paese, malgrado una maggioranza senza più controllo e con i partiti in ansia pre-elettorale. Certo, tutti si muovono sul filo e un passo falso comprometterebbe equilibri di governo che non possono cambiare. Altrimenti sì che rischierebbe di saltare tutto.

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