Lo psicodramma cinque stelle

Claudio Bozza Corriere della Sera 14 luglio 2022
I tormenti di Conte nel Movimento spaccato: così l’ala dura ha preso il sopravvento

 

La giornata convulsa del leader M5S incalzato dai falchi, compresi i suoi vice Taverna e Ricciardi. Il dissenso del ministro D’Inca: «Non condivido la scelta». E Di Maio aspetta altri trasfughi nel suo gruppo


A forza di tirare la corda, invece di massimizzare la contropartita del governo su reddito, salari minimo e Superbonus, Giuseppe Conte si è ritrovato in quella che gli americani definiscono «lose-lose situation». Davanti a un bivio che porta a due vicoli ciechi, senza possibilità di vittoria. Il vero obiettivo del leader dei Cinque Stelle, alzando al massimo lo scontro con Draghi, era quello di incassare più obiettivi possibili rispetto al documento con le 9 richieste consegnato al capo del governo, per poi ripresentarsi da vincitore davanti ai parlamentari e alla base grillina.
Le risposte, da Palazzo Chigi, sono arrivate. Però la miccia, nel frattempo, aveva innescato un incendio impossibile da spegnere. Già martedì sera le pressioni dei parlamentari a non votare la fiducia sul decreto Aiuti erano diventate ingestibili. Conte, in cuor suo, dopo i contatti con il Quirinale, l’ultima drammatica telefonata con Draghi e l’altolà del segretario del Pd e alleato, ha tentato di invertire la rotta. Ma era troppo tardi. Di prima mattina, durante la riunione del Consiglio nazionale del M5S, gli animi erano già surriscaldati. «Niente fiducia», la linea chiara.
Il messaggio arriva al primo piano di Palazzo Chigi, da dove a ruota parte una telefonata tra il premier e il suo predecessore. Conte chiede uno sforzo in più. Ma le risposte non sono quelle attese. Il fu «avvocato del popolo» rimbalza tra il suo ufficio privato e il quartier generale del partito in via Campo Marzio. Al suo fianco c’è il fidato Rocco Casalino, uno dei principali teorici della linea dura, del ritorno alle origini per recuperare i (tanti) consensi che i sondaggi danno per svaniti. Il leader pentastellato tenta una sorta di mossa del cavallo, che però non gli riesce. Il motivo? Non riuscirebbe a tenere le truppe dei parlamentari, pur «depurate» in gran parte dall’opposizione interna degli scissionisti passati con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Aumentano le pressioni a mollare Draghi anche da parte di due dei cinque suoi vicepresidenti più fedeli. La numero due del Senato Paola Taverna, ormai giunta alla fine del suo secondo mandato e quindi non rieleggibile per via dello stop di Beppe Grillo, picchia duro: «Fiducia? Ma de che», riferiscono alcuni colleghi. C’è poi il fuoco di fila di Riccardo Ricciardi, detto il «Che Guevara di Massa» per il suo impeto barricadero, che va ben oltre il no alla fiducia: «Basta con questo governo», sbotta. Arrivano anche i messaggi di fuoco da parte dell’ex sindaca della Capitale Virginia Raggi: «Se votate il decreto Aiuti, che contiene anche una norma ad hoc per favorire la costruzione dell’inceneritore a Roma, mollo tutto anche io», il senso dell’altolà. Conte, insomma, si ritrova impossibilitato a mediare, nonostante il sostegno di pedine «governiste» di peso come il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che durante l’assemblea dei parlamentari ha chiarito di non condividere la scelta del Movimento di non votare la fiducia, o la viceministra allo Sviluppo Alessandra Todde. In campo c’è anche il capogruppo alla Camera Davide Crippa e l’ex viceministro «nordista» Stefano Buffagni.
La tensione continua a salire. La regia dei vertici via Zoom è in Campo Marzio — in presenza — mentre telefonando ad almeno un paio di senatori si sente il rumore delle onde del mare. Al termine del secondo round del Consiglio nazionale grillino l’epilogo è scontato: Aventino. Quando oggi arriverà il momento di votare la fiducia, i senatori del Movimento usciranno dall’Aula . Sulla sponda dei fedelissimi del ministro Di Maio si aspettano però sorprese: «Qualcuno potrebbe votare la fiducia», fa sapere uno dei registi della scissione. Ieri, intanto, Insieme per il futuro ha registrato un altro acquisto, quello di Francesco Berti, giovane deputato livornese che lascia il Movimento. E tra oggi e domani il capo della Farnesina se ne aspetta altri.

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