Il limite di Draghi? La sua antipolitica

Nadia Urbinati Domani 19 luglio 2022

 

La vera responsabilità del premier nella crisi

 

Il sostegno internazionale a Mario Draghi è tale da far apparire gli italiani irrazionali e sconsiderati. Nel paese le cose sono più complesse, e non solo tra i pentastellati di Giuseppe Conte. La reputazione del presidente del Consiglio all’estero, molto meritata, riguarda Draghi “esperto” di finanza. L’insoddisfazione in Italia riguarda Draghi “politico”.

Giunto al governo con il compito di traghettarci fuori dalla pandemia e mettere in carreggiata il Pnrr, una volta raggiunto lo scopo (a fine anno) tutto si è complicato e l’unità dell’anomala coalizione ha cominciato a scricchiolare, tenuta sotto stress prima da Salvini e poi da Conte. Si richiedeva a quel punto un passo diverso, meno tecnico, più politico.
A questo passo, Draghi non ha mostrato di volersi troppo impegnare. Scegliere quali politiche promuovere e quando, su che cosa mediare e fino a che punto, trascende la dimensione della competenza del tecnico e chiama in causa l’agire del politico che, scriveva Luigi Einaudi diversi anni fa, non è meno competente nel suo genere dell’altro. La divaricazione tra il fare tecnico e il fare politico è emersa in queste ultime settimane, insieme all’insofferenza di Draghi verso l’arte della politica. Diceva un mio collega, celebre nello spiegare le scelte politiche con le emozioni funzionali ai calcoli dei costi e dei benefici degli attori, di non riuscire a capire Machiavelli.
Neppure in Italia lo si capisce quando si giudica la politica come arte del raggiro, criticata nel nome ora di principi morali ora delle ragioni della scelta razionale. Ma le ragioni della politica sono etiche e non meno razionali. Lo ha ribadito il presidente Sergio Mattarella quando ha chiesto a Draghi di dirigere la crisi di governo secondo il dettato della Costituzione: andare in parlamento non è un atto di rito. Non ci si va per ribadire quel che si vuole o disvuole, ma per “verificare” anche la possibilità che le cose si siano nel frattempo evolute. L’andare in parlamento con la mente aperta al confronto può voler dire rivedere le reciproche rigidità, sempre tenendo fermo il baricentro: il bene del paese.
Quella di Draghi non è dunque l’ultima parola, ma la penultima. Prima di dimettersi deve verificare l’effettiva disponibilità dei partiti È prevedibile e comprensibile che i partiti mettano sul piatto della bilancia anche i loro interessi perché la loro vita va oltre questo governo. Tutti stanno facendo calcoli di opportunità.
Ma la posizione di Draghi è peculiare se non altro perché essendo fuori del gioco elettorale, egli dovrebbe, più dei leader dei partiti, sentire il peso della responsabilità di fare il massimo per un paese che non ha alcuna arma per chiedergli accountability.
Gli elettori possono punire i partiti, ma non possono punire Draghi. Una condizione, questa, che accresce la responsabilità etico-politica del presidente del Consiglio.

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