Tommaso Rodano il Fatto Quotidiano 24 luglio 2022
I migliorissimi che hanno fatto schiantare l’ex Bce
A Palazzo Chigi tra Quirinale e fine corsa: tutti i flop dei suoi tecnici
Dietro l’epilogo della carriera politica di Mario Draghi ci sono anche i limiti delle persone da cui si è fatto consigliare. Il premier non porta rancore verso il suo “cerchio magico”, anzi: informa il Corriere della Sera che mercoledì, maturato il disastro della “non fiducia”, ha portato a cena i suoi collaboratori in un clima sereno e conviviale (menu delizioso: “Sformatino di baccalà con patate e cipolla rossa di Tropea” e “polpettine di bollito con cicoria ripassata”).
Quegli uomini, tuttavia, non l’hanno aiutato a colmare la distanza tra l’amministrazione del potere e la gestione del consenso. L’ultimo guaio è stato quel discorso al Senato così gelido, che sembra abbia lasciato qualche rimpianto persino in Draghi (“la frase sugli italiani forse potevamo migliorarla”, riporta sempre il Corsera).
A lavorare al testo (e testamento) sarebbe stato Ferdinando Giugliano, consulente per i rapporti con i media, soprattutto esteri, ma pure spin doctor delle non sempre brillanti uscite pubbliche dell’ex banchiere. Classe 1985, ha un curriculum vertiginoso: laurea, master e dottorato in Economia a Oxford, un passaggio da consulente in Banca d’Italia (da cui proviene anche la storica portavoce di Draghi, Paola Ansuini), poi giornalista finanziario a Bloomberg, collaboratore a Repubblica e giovanissimo columnist del Financial Times. Dal giorno dopo la crisi, Giugliano twitta con apparente soddisfazione gli epitaffi della stampa estera sulla stagione draghiana: La Vanguardia, New York Times, Ft; “Draghi è stato un magnifico primo ministro”, “con la forza della sua credibilità ha trasformato l’Italia in un partner all’altezza delle maggiori potenze europee”.
Si coglie un certo distacco tra accademia e realtà: il consigliere di Draghi sembra continuare a farsi i complimenti, anche dopo il fragoroso fallimento finale. Lo scrive Matteo Renzi nel suo ultimo libro, individuando i “colpevoli” del tonfo sulla via del Colle: “Temo che i suoi collaboratori più stretti — soprattutto Francesco Giavazzi e Antonio Funiciello — abbiano costruito una strategia sbagliata.
L’errore dei Draghi’s Boys è stato quello di pensare di arrivare al Quirinale contro la politica, come reazione alla difficoltà della politica”. Renzi conosce bene Funiciello, che è stato anche renziano, dopo essere stato veltroniano e prima di diventare gentiloniano, giungendo infine a guidare il gabinetto di Draghi.
Al premier, che gli ha delegato la partita della Rai, ha creato qualche imbarazzo per le intercettazioni inchiesta Open, non è indagato – in cui dice di prendersi cura degli interessi del gruppo Toto e della British Ameri-can Tobacco su un paio di delicati emendamenti. Giavazzi invece è stato il vero uomo chiave di Draghi, di cui è amico dai tempi del Mit di Boston (primi anni 70). Editorialista del Corsera , sostenitore delle meravigliose e progressive sorti dell’austerità, è finito per occuparsi di tutto: nomine, dossier, fisco, industria.
Scoprendo pure in extremis un certo apprezzamento per il debito “buono”. Alla fine “il più bravo di tutti” – parola di Draghi – è stato il sottosegretario a Chigi, Roberto Garofoli. Boiardo deluxe, ex presidente di sezione al Consiglio di Stato, apprezzato dal Quirinale. Con un merito aggiuntivo: era stato cacciato dal ministero del Tesoro, nel 2018, da Giuseppe Conte. redassero Nemo lui ha evitato che i migliori andassero a sbattere contro i fastidiosi capricci della politica