Per rinunciare al M5S, Letta inventa i cento fiori del pentapartito

Carlo Bertini La Stampa 27 luglio 2022
Letta, Sala, Di Maio: prove di campo aperto
Pressing dei dem su Calenda, liste civiche con Emiliano e De Luca al Sud, dialogo con i sindaci e porta chiusa a Conte. «I candidati verranno scelti sul territorio»

 

Enrico Letta sa di giocarsi l’osso del collo: non vuole perdere, «sarà una sfida tra noi e la Meloni, senza pareggio», rilancia, per polarizzare la sfida. Letta all’alleanza con Calenda tiene molto, perché con lui – spiegano gli strateghi dem – diventano contendibili 64 collegi, nelle grandi città, Roma, Torino, Milano, ma anche in Toscana, dove tutti i collegi sono in bilico e il leader di Azione è dato al 4%. Per questo fa di tutto per chiuderla, malgrado alcuni nel suo partito come Andrea Orlando, Goffredo Bettini o Matteo Orfini lo avvisino che potrebbe rappresentare un boomerang. E malgrado «non abbiamo interlocutori semplicissimi», fa notare a sua difesa.

Se poi Calenda è cruciale nel centro-nord, da Roma in giù, la sfida nei collegi è ardua: per trasferire sul piano politico i voti arrivati sul piano amministrativo, si punterà su liste civiche collegate ai governatori Emiliano in Puglia e De Luca in Campania, sperando nell’effetto Di Maio nelle zone partenopee. Proprio con Di Maio si è visto ieri Letta, che punta a fare «il facilitatore» insieme al sindaco Sala, di una lista che avrà il simbolo Centro Democratico di Bruno Tabacci, con Pizzarotti ed altri sindaci. Di Maio insieme a Calenda? «Bisogna unire le forze che hanno messo tutte loro stesse per evitare la crisi di governo», è, dopo anni di scontri, il via libera del ministro degli Esteri che su La7 annuncia «un nuovo progetto inclusivo entro la settimana» e la disponibilità di Sala «a sostenere la coalizione».
Il Pd comunque segue disciplinato il segretario («tutti percepiscono la gravitas del momento»), dunque voto di fiducia unanime della Direzione, ma se il Pd perdesse, in autunno si aprirebbe un congresso senza sconti, di cui si son viste solo le avvisaglie. Su Calenda alleato e sul nodo dei 5stelle, passati in una settimana dall’essere alleati strategici alla categoria dei reietti.

«Non dobbiamo rinnegare i tre anni passati, senza il lavoro con loro non ci sarebbe stato il governo Draghi», fa notare Letta a chi ha sempre contestato l’alleanza strutturale con Conte. «Ma a chi ha tentazioni di tornare col M5s o dice “ripensiamoci” – scandisce rivolto invece alla sinistra – invito a guardare cosa pensano gli elettori, il loro giudizio è lapidario». Nessun passo indietro su Conte, sapendo che senza i 5stelle nei collegi del sud sarà più dura.
Per questo il leader dem non tralascia nulla. «Il cuore del nostro progetto siamo noi – ripete per dribblare tutti i soffi di corrente del partito – ma poi ci sono alleanze che siamo costretti a fare dalla legge elettorale e i due livelli sono differenti».

Quindi il segretario vuole imbullonare una larga «alleanza tecnica» con dentro Calenda, Gelmini e Bonino, Di Maio e Pizzarotti, Speranza, Fratoianni con i Verdi di Bonelli e si spera anche i centristi come Toti, Quagliariello, Brugnaro. Renzi forse. Fin qui, certezze poche, riunioni tante.

Con un macigno da sgombrare, il convitato di pietra, Mario Draghi. «Derubrico la discussione surreale sulla premiership e se volete assumo il ruolo di front runner della nostra campagna, della nostra lista dem e progressista», dice Enrico Letta ed in questa frase c’è la perizia del politico consumato, che non vuole chiudere le porte a Carlo Calenda e ai centristi che invece invocano il nome di Draghi. «Se fosse indisponibile, come premier mi candido io», butta lì Calenda, mentre Letta glissa. Il segretario dem, di fronte alla Direzione, non parla di coalizione, ma si pone come punta di diamante solo della lista Dem, così da tenere aperte le porte e rispettare al contempo il volere di chi nel Pd va dicendo che il candidato è il segretario del partito. Poi se si dovesse mai vincere alle urne, si vedrà.

Piuttosto chiarisce che «ci sarà il simbolo Pd con l’acronimo Democratici e progressisti, dentro il quale confluiranno i simboli di articolo 1 di Speranza, Demos di Mario Giro», con Andrea Riccardi e i socialisti di Maraio e i Moderati di Portas. Non lo dice il segretario, ma per dar man forte a Di Maio con “D&P” ci saranno anche i civici di Pizzarotti e una serie di sindaci di città minori.

Ora il problema da qui in avanti è scegliere i candidati. Ci saranno deroghe per i candidati con tre legislature alle spalle, da più 15 anni in parlamento, per Franceschini, Orlando, Pinotti, Madia e De Micheli e pochi altri. Ma sarà un bagno di sangue: «La maggior parte dei collegi ce la dovremo giocare casa per casa. Con dei candidati sul territorio, non candidati astratti», chiarisce Letta. Tradotto, se la vuole vedere con i segretari regionali, non con i capicorrente nazionali. «Lo dico anche ai nomi importanti. Se ognuno di voi si approccia a questa vicenda su come posso essere utile è una cosa, se pianta un chiodo e dice vediamo come me la risolvono è differente. Possono volare stracci».

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