Letta punta tutto sui collegi, ma Renzi e Calenda lo sanno e ….

Carlo Bertini La Stampa 28 Luglio 2022

 

Lo scacchiere di Letta:
il leader dem cerca di tenere Renzi dentro la coalizione, ma Calenda frena

 

Dialogo per coinvolgere i sindaci: «Questi mesi saranno un tappone dolomitico»

 

Barometro dell’alleanza in casa dem, mentre fuori dal Nazareno il segretario arruola sindaci per la battaglia: la lista «Cocomero», con i due colori «verde Bonelli» e «rosso Fratoianni», dentro.

Carlo Calenda (forse) dentro, Matteo Renzi però fuori. Malgrado Letta dica «la sinistra è il Pd, il più grande partito ambientalista in Europa», l’arruolamento dei rosso-verdi è molto gradito per levare acqua al mulino di Conte («possiamo arrivare al 5%», prevede Nicola Fratoianni).

Molto meno gradito sarebbe invece un Renzi mina vagante nell’etere elettorale. Per i paradossi della politica, i due ex nemici Letta e Renzi la vedono allo stesso modo: vorrebbero che accanto alla lista «dem e progressisti» e alla lista «Cocomero», campeggi sulle schede un listone centrista con dentro tutti: Calenda, Gelmini, Renzi, Di Maio, Tabacci, Bonino, Carfagna.

Mentre Toti viene dato in rinculo sul centrodestra. Questa la tecnica, non escludere nessuno che possa portare in dote voti: «Anche il 2 per cento di Renzi può fare la differenza in molti collegi uninominali e nella ripartizione proporzionale dei seggi di tutta l’alleanza», dice un parlamentare con voce in capitolo. «Senza di noi non toccano palla in 45 collegi», taglia corto un renziano.

Ma non ci sono solo le liste, ci sono anche i social: lo staff comunicazione sta organizzando una squadra di giovani e professionisti (di un’agenzia ad hoc) per tenere testa alla Bestia di Salvini. Terreno cruciale per competere, ritardo da colmare in fretta.
La grana della Boschi in lista
Nel ramo alchimie, il problema numero uno è convincere Calenda a stare insieme ai progressisti: «Se nel Pd preparano una alleanza post elettorale con i Cinque Stelle, noi non ci possiamo stare», mette le mani avanti il leader di Azione che vede spinte in tal senso tra i dem, perché «molti preferiscono i grillini a me».

Letta cuce e ricuce, ma teme anche il fattore Renzi. «Enrico però non può far entrare Matteo nella lista D&P, altrimenti scoppierebbe il Pd», allarga le braccia uno dei più alti in grado; e siccome «neanche Calenda vuole caricarselo», il rischio è che l’ex segretario di Rignano corra da solo. Ettore Rosato sta già preparando le liste di Italia viva. Il problema è che – a sentire i boatos di Palazzo – Renzi vorrebbe avere troppe candidature: per sè, Bonifazi, Boschi, Bellanova, Rosato e Faraone i nomi che girano nei capannelli.

Ecco spiegata dunque una delle uscite di ieri del leader dem: quando Letta dice «queste elezioni sono per noi un tappone dolomitico, tutto in salita, affascinante ma anche incredibilmente difficile», intende dire che si parte indietro rispetto alla destra e bisogna fare di tutto per colmare il divario, arruolando tutti nella larga coalizione. E quando aggiunge «io voglio metterci, oltre alla determinazione, anche una certa scientificità», intende dire che ogni candidatura va pesata per vincere.

Molti sindaci e big in campo
Ha un bel da fare dunque il segretario a mettere insieme l’elenco di nomi come Gianrico Carofiglio, Elly Schlein, Mauro Berruto, ex ct della nazionale di pallavolo. E a registrare «no grazie» che pesano come quello di Goffredo Bettini. O a decidere che i big, a partire da lui, correranno nei collegi per dare l’esempio: Orlando, Franceschini, Guerini e compagni, tutti quelli che avranno la deroga ai tre mandati in Parlamento.

Ieri poi ha riunito cento sindaci, in testa Antonio Decaro, Dario Nardella, Giorgio Gori, Mattia Palazzi e molti altri da remoto per chiamare alla lotta tutti quelli in scadenza o scaduti da poco, come il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, uno di quelli che verranno candidati. Sono tanti, daranno voce ai territori, Letta ci conta molto per fare la differenza con la destra, più debole nei Comuni. «I sindaci sono la politica vicina alle persone».
Meloni, l’uomo forte del Pd
Ed ha un bel da fare l’uomo ombra del leader, il coordinatore della sua segreteria, Marco Meloni, «un cognome sbagliato», scherza lui: ex deputato, classe 1974, sardo, scuola Andreatta, unico della direzione Pd a non votare il siluramento di Letta da Palazzo Chigi nel 2014, oggi è il plenipotenziario delle liste dem. In pratica l’uomo più potente del partito. Il quale non procede per rappresaglie, tanto che Andrea Marcucci, ex capogruppo, renziano di ferro, dovrebbe avere il terzo posto nel listino proporzionale della Toscana, un seggio sicuro.

Non escludere nessuno che possa portare in dote voti è il suo refrain. Raccontano le voci di Radio-lista, i boatos dei gruppi dem, che una cosa più di altre preoccupa Letta: che a dispetto della Bonino, determinata ad ancorarsi ai progressisti, Carlo Calenda decida invece di staccarsi e andare da solo per capitalizzare voti; e che in quel caso si prenda Renzi per evitare il compito proibitivo di raccogliere le firme su un simbolo in agosto. E portando magari in dote a questo terzo polo un volto mediatico come Mara Carfagna.

Sarebbe un problema per Letta, in quel caso indebolito nella gara contro la destra di Meloni più forte e meno frammentata. Ecco perché la corte a Calenda è incessante, ora dopo ora.

 

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