Il Pd si consegna al centro. L’accordo vale come un Congresso

Andrea Colombo il Manifesto 3 agosto 2022
L’esoso Calenda la spunta sul Pd. Letta fa buon viso

 

Il segretario dem costretto a ripescare l’«Agenda Draghi». Poi offre il «diritto di tribuna» agli esclusi Fratoianni e Bonelli. L’ex ministro sapeva che il Pd aveva bisogno dei suoi voti per i collegi uninominali. Previsto per oggi l’incontro di Europa verde e Si al Nazareno: «Ora serve un chiarimento»


Per capire come è andata, quando dopo due ore di vertice Calenda e Letta presentano l’accordo raggiunto, non c’è neppure bisogno dei dettagli.

Bastano le facce. Il leader di Azione e quello di +Europa Della Vedova sono raggianti, il segretario del Pd sembra che gli sia passato sopra un treno. A condizionare la trattativa non sono state le argomentazioni degli uni o degli altri: è stata quella proiezione che circolava già dalla sera prima, registrando l’impatto della eventuale rottura sul voto nei collegi.

Senza Azione, il Pd non sarebbe andato oltre gli 8 seggi alla Camera e i 4 al Senato. Per quanto positivo potesse rivelarsi il risultato della lista nel proporzionale sarebbe stata comunque una disfatta senza precedenti. Calenda ne era consapevole e ha dettato legge.

LA LEGGE di Calenda implica l’espulsione di Fratoianni e Bonelli, i leader di Sinistra Italiana ed Europa verde, e di Di Maio «ex M5S», dalle liste del maggioritario: «Non posso chiedere ai miei elettori di votarli», chiude il dibattito Calenda.

La formula per mascherare la brutale messa alla porta è che nessun leader correrà in quelle liste. Con la differenza che i leader del Pd e di Azione entreranno lo stesso di certo col proporzionale, quelli di Si e dei Verdi dovranno sudarsi il 3% senza alcuna certezza di raggiungerlo, e Di Maio, per cui quella soglia è una chimera, pare già fuori.

La tagliola spezza le gambe anche a Renzi. Le porte per l’alleanza, sia pur con il dovuto gelo, sono aperte. Lo dice per primo il capo di Azione lo conferma Letta. Ma senza uninominale, se anche Iv aderisse al cartello, il capo resterebbe fuori.

Tanto vale giocarsela come unici rappresentanti del terzo polo, o la va o la spacca: «Quella che gli altri chiamano solitudine noi lo chiamiamo coraggio». Ed esistendo anche il celebre coraggio della disperazione non ha torto.

IN TERMINI di seggi l’ex ministro è esoso: al netto dei pochi posti riservati alle altre liste (senza leader), al Pd andrà il 70% dei collegi (e degli spazi televisivi), ad Azione il 30%. E’ un’enormità. Significa che il partito di Calenda, che nei sondaggi veleggia sotto il 5%, otterrà ben 15 collegi blindati e sicuri. Roba che manco Brenno col suo «Guai ai vinti» e senza neppure aver avuto bisogno di combattere e vincere.

Ma la vera sterzata drastica è politica. Letta, con la sua «alleanza elettorale» mirava a non legarsi le mani in campagna elettorale, puntava sull’equidistanza fra centro e sinistra, aveva riposto in cantina, dopo l’enfasi dei primi giorni, l’«Agenda Draghi».

ALLA FINE il leader di Azione si dichiara contentissimo: «Tutti i nostri punti sono stati recepiti. Oggi si riapre la partita e andiamo a vincere». Ha ottimi motivi per cantare vittoria. A determinare l’esito del braccio di ferro non sono state le insistenze di Emma Bonino, che chiedeva di evitare la rottura e come proprietaria del simbolo che permette di non raccogliere le firme qualche voce in capitolo ce l’aveva. È stata l’inflessibilità del leader romano, che ha concluso la partita come voleva lui: con la nascita non di un’alleanza elettorale, quella è già un caro ricordo, ma di una vera coalizione politica centrista che, in nome dell’interesse comune, stringe una specie di moderno accordo di desistenza con la sinistra. Tutto a proprio vantaggio, però.

FRATOIANNI e Bonelli reagiscono chiedendo un incontro con Letta già fissato per oggi pomeriggio. Ma non c’è nessuna suspence. Ribadiranno che per loro si tratta di un accordo puramente tecnico con una coalizione ormai molto distante su tutti i piani.

Valutano l’ipotesi di candidare nei tre collegi a loro disposizione figure della società civile. Ma non denunceranno l’accordo approvato con il 65% dei voti dai militanti di Si poche ore prima della svolta imposta da Calenda.

IL PROBLEMA Di Maio è più spinoso, come lo è quello Pizzarotti e per motivi identici. Senza potersi candidare nel maggioritario, sono fuori gioco.

Il Pd partorisce una soluzione grottesca, che neppure la più velenosa satira avrebbe potuto immaginare. Informa che «il Pd offrirà diritto di tribuna in Parlamento ai leader dei diversi partiti e movimenti del centrosinistra».

Verdi e Si si risentono e rispondono subito che quel diritto non li interessa. Ma la ciambella di salvataggio non è per loro. È per Di Maio che a sera incontra Letta. Deve scegliere tra mantenere in campo la sua lista, con tanto di nome ma senza di lui che figurerà nel listone di un altro partito oppure sciogliere il partito fondato 48 ore prima.

La politica è una cosa seria. Per chi verrà ospitato ma anche per chi ospita.

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