L’alleanza era contro questa destra, non sull’agenda Draghi

Antonio Bravetti La Stampa 03 Agosto 2022
Fratoianni: “Se c’è l’agenda Draghi, non ci sono io
va riaperto il dialogo con i Cinque stelle”
Il segretario di Sinistra Italiana: «L’accordo tra Pd e Azione vincola le due forze, ma non noi. Con Letta verificherò se ci sono le condizioni per fare campagna elettorale sul nostro programma»

 

«Non farò mai campagna elettorale parlando bene del governo di cui sono stato opposizione», dice il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. «Altro che agenda Draghi: se nella coalizione c’è quello, allora non ci sono io».

Cosa pensa dell’accordo tra Pd e Azione?

«Ne prendo atto: vincola quelle due forze, ma in nessun modo vincola l’alleanza con Sinistra e Verdi ai temi contenuti di quell’accordo».
Quindi non farà campagna elettorale sull’agenda Draghi?

«Se c’è questo, non ci sono io. Se qualcuno pensa che l’agenda programmatica della coalizione sia questa, non ci sarà l’alleanza con Sinistra e Verdi. Calenda parli di quel che vuole e vada in pace».

Cosa dirà oggi a Letta?

«Verificheremo se ci sono le condizioni per fare campagna elettorale sul nostro programma. Se qualcuno mi dice che per fare questa intesa devo accettare di non battermi più contro il rigassificatore di Piombino o devo votare per l’invio di armi all’Ucraina o per l’aumento della spesa militare allora arrivederci e grazie. Senza rancori, ma arrivederci».

È così importante il rigassificatore?

«Noi pensiamo che non si debba fare e continueremo a batterci, saremo in piazza. Calenda se ne faccia una ragione».

Perché ieri ha votato contro l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato?

«Perché quell’accordo si è consumato sulla pelle del popolo curdo: non avremmo dovuto accettare lo scambio che Erdogan ha preteso per togliere il veto. E penso che oggi più che di Nato e atlantismo dovremmo discutere di una difesa europea».

Come si coniugano queste posizioni con Calenda?

«Chiediamolo a lui, invertiamo il punto di vista. Il nostro programma non può essere vincolato alle idee, legittime, degli altri. Idee che però divergono in tanti punti dalle nostre. Intanto mi sono tolto una soddisfazione: dopo che per giorni Calenda si è occupato di collegi e candidature distribuendo veti, patenti, promozioni e voti, è passata la mia proposta di non candidare i segretari di partito nell’uninominale. Io non sono garantito da nessuno e non cerco garanzie, mi candido nel proporzionale e vengo eletto se prendo voti sul mio programma».

Cosa vi può unire allora?

«La posta in gioco è duplice. Di fronte a una destra estrema che col presidenzialismo e l’autonomia differenziata mette in discussione la Costituzione è responsabilità di tutti di ricercare fino all’ultimo momento il massimo della convergenza in quella parte della legge elettorale regolata dall’uninominale. Poi serve un programma coraggioso di cambiamento, un programma pacifista che metta al centro l’escalation diplomatica contro quella delle armi, l’istruzione gratuita, l’investimento nella sanità, la redistribuzione della ricchezza a partire dai grandi patrimoni, le energie rinnovabili e non improbabili ritorni al nucleare o l’orizzonte del fossile».

Teme un governo Meloni o Salvini?

«Siamo di fronte a una destra che ha diffuso veleno nelle vene degli italiani. Le parole pesano, la violenza può crescere. È una destra xenofoba, che ha espliciti rapporti con il mondo del neofascismo italiano e la peggior destra internazionale. Sono amici di Trump, Le Pen, Orban, dei post-franchisti di Vox. Una destra che applaude alla bocciatura del ddl Zan e non vuole lo ius scholae. Io ho paura di un Paese governato da questa cultura».

Non è che Calenda sta cercando di buttarvi fuori?

«Noi non bussiamo a nessuno, il punto è se consideriamo utile o no questa alleanza. Abbiamo un problema che si chiama “destra” e dobbiamo fare come loro che litigano a morte ma un minuto dopo si siedono e trovano la massima convergenza. Pensiamo sia importante cercarla nei collegi uninominali, dove ogni voto conta».

Calenda ha spesso alzato i toni con voi.

«Non sono né santo né fesso, ma faccio politica e farò campagna elettorale battendomi per le mie proposte, che considero giuste ed efficaci».

Avrebbe preferito Conte?

«Sarebbe stato giusto lavorare a una coalizione larga, partendo dal Conte II. Il dialogo con i Cinque stelle va riaperto. La politica non è mai una fotografia, è un processo in movimento».

Letta, invece, apre a Renzi.

«Adesso non esageriamo»

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