Nel Pd la tentazione di mollare Calenda, il Renzi 2.0

Alessandro Di Matteo La Stampa 06 Agosto 2022
I sospetti dem su Calenda: “È un Renzi 2.0, basta polemiche o vuole solo far saltare tutto?”
Per il Pd il leader di Azione punta al dietrofront. Il segretario invoca un passo indietro: così la si dà vinta alla destra


Rischia di saltare tutto, di nuovo. Qualcuno ha schiacciato il tasto rewind sul film del centrosinistra, la «coalizione elettorale» che Enrico Letta tenta di mettere in piedi è di nuovo sul punto di esplodere prima ancora della partenza ed è ancora Carlo Calenda a tenere tutti sulle spine. Non è bastato nemmeno il nuovo colloquio – teso, difficile – tra il segretario Pd e il leader di Azione a riportare la pace. Il clima è più rovente che mai – anche a livello personale – e ora Letta deve anche tenere conto della pressione sempre più forte di coloro che nel Pd chiedono di lasciare Calenda al suo destino. I giudizi, a microfoni spenti, sono tranchant, e non solo dall’ala sinistra del partito: «È un Renzi 2.0», dice un dirigente della sinistra. «È un sottoprodotto di comunicazione politica.Noi dobbiamo confermare l’alleanza con Si e Verdi, poi Calenda faccia ciò che vuole». È questa la tentazione di molti, appunto: lasciare che il leader centrista segua la strada del terzo polo.
Questo, del resto, è ciò che molti pensano sia realmente nei progetti di Calenda. «Teme che Renzi gli tolga voti e vuole cancellare il patto…», dice un esponente di Si. Ma anche un dirigente della segreteria Pd è insofferente: «Calenda dovrebbe togliere i voti a Forza Italia, non a Sinistra italiana. Sarebbe meglio che il suo bersaglio diventasse Berlusconi, non più credibile come leader dei moderati e dei liberali». Peraltro il timore, dice anche un esponente di Base riformista, è che «tutto questo gioco di rilanci produca un dissanguamento del Pd in termini di collegi, di seggi, per accontentare gli alleati. Considerando anche che Letta vuole applicare in maniera rigida l’alternanza uomo-donna, rischiamo di bruciare un pezzo di classe dirigente Pd…». Ragionamento che fanno anche dalle parti di Luigi Di Maio, dove osservano che una rottura di Calenda potrebbe risolvere il problema del veto sui collegi uninominali imposto dal leader di Azione.

Calenda, dopo il colloquio, fa filtrare una ricostruzione che non è affatto incoraggiante: «Nell’incontro – dicono da Azione – sono stati ricordati i punti dell’accordo firmato con il Pd. Il nostro patto ribadisce chiaramente la posizione su Nato, agenda Draghi, eccetera… Se il Pd ne firma uno antitetico, evidentemente non c’è più l’accordo». Una posizione che ha messo a dura prova l’aplomb di Letta: non esiste il rischio che venga rinnegato il patto firmato, per il segretario Pd, per il semplice fatto che l’accordo siglato con Azione e quello chiuso con Si e Verdi sono compatibili. Per i democratici, non c’è nulla che contrasti con l’altro documento. Ci possono essere punti di divergenza, ma non si può strumentalizzare ogni differenza invocando Draghi, perché, come dice Andrea Orlando «sulla politica internazionale Calenda ha tenuto posizioni diverse da quelle che ha sostenuto il governo ma questo non impedisce oggi di sedersi attorno a un tavolo e discutere». Dunque, insiste il ministro, «Lavoriamo perché si determino le condizioni. È chiaro che si possono gestire posizioni diverse se c’è la buona volontà di tutti».

Insomma, per Letta «tutti devono fare un passo indietro: rinunciare a costruire questa coalizione larga significa non entrare proprio in campo e darla vinta a tavolino alla destra». Chi si assume questa responsabilità, fa intendere, lo spiegherà agli elettori. Il leader Pd, raccontano, è diventato gelido di fronte all’ostinazione di Calenda sul suo «aut aut». Già lunedì scorso, quando pure la rottura sembrava vicina, Letta aveva ricordato che per lui «la stretta di mano è tutto», e a questo punto di strette di mano con Calenda, nel giro di una settimana, ce ne sono state due. Sul fronte sinistra il segretario Pd invece è ottimista: ieri sera è arrivato l’ok dei Verdi e oggi dovrebbe seguire quello di Sinistra italiana, che riunisce l’assemblea nazionale. Letta confida che Fratoianni riuscirà a tenere a bada la minoranza interna. L’incognita resta Calenda, che sembra davvero intenzionato a rompere. Ma il segretario dem non vuole nemmeno assecondare chi nel Pd chiede di farla finita con Azione: «La politica non è testimonianza», ripete a tutti. Spiegano al Nazareno: «Per noi sarebbe un errore rompere con i centristi per puntare a un risultato molto alto sul proporzionale». Il messaggio è rivolto ai tanti dem preoccupati per i pochi posti a disposizione: «Certo, andare da soli porterebbe molti posti in lista. Ma è il contrario della cultura politica di Enrico, la politica appunto non è testimonianza. Secondo noi si può ribaltare il pronostico che dà la destra vincente». Forse è ottimismo della volontà. Di sicuro deve fare i conti con le mosse di Azione. —

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