Bertinotti: “E’ solo un accordo tra professionisti della politica.”

Concetto Vecchio La Repubblica 07 agosto 2022
Bertinotti: “E’ solo un accordo tra professionisti della politica. Il Paese reale chiede altro”

 

Intervista all’ex leader di Rifondazione: “Gerarchia tra fronte neoconservatore e portatori d’acqua. La sinistra doveva restare fuori”

 

Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista, perché da giorni ripete che la sinistra avrebbe dovuto stare fuori dall’alleanza col Pd?

“Perché era l’occasione per provare a rinascere. Riconosco che è più facile farlo nel conflitto che in un’elezione, ma bisogna provarci mettendo a frutto le esperienze recenti in Europa, a cominciare dalla lezione Mélenchon”.

Ma in Italia Mélenchon non c’è.

“Non c’era neanche in Francia. Non sarebbe mai esistito senza una rottura profonda nella società francese: gli studenti in piazza, la mobilitazione contro la riforma delle pensioni, i gilet gialli. È nato un movimento fuori dai partiti e contro il sistema”.

Cosa non la convince qui?

“L’accordo stabilisce una gerarchia tra un fronte neoconservatore e i portatori d’acqua. C’è un alleanza tra il Pd e Calenda, che è il socio di maggioranza e che propone un patto leonino nei confronti degli altri che vi vogliono accedere”.

Ma se la sinistra ne rimaneva fuori non faceva vincere la destra?

“Perché stando dentro si vince?”.

Forse si contribuisce ad evitarlo.

“A decidere la contesa sarà il 50 per cento che non vota. Dovrebbe essere il destinatario principale di una proposta di alternativa: ma imprigionati in questa alleanza non si ha credibilità nei confronti di quel mondo”.

Cosa glielo fa dire?

“Perché sono gli stessi protagonisti delle politiche di governo che hanno penalizzato chi si astiene. Soltanto il 13 per cento degli operai vota Pd?”

Insomma, lei è per la sinistra testimonianza?

“È una scelta da rispettare, rispetto alla prigione della subalternità e del conformismo. Ed è l’unica possibilità per mettere in campo un soggetto che rompa la sudditanza alla dialettica tra destra e centro neoconservatore”.

Lei da sindacalista ha praticato il realismo.

“Ma questo è il massimo dell’irrealismo. Un accordo tra professionisti che non tiene conto del Paese reale”.

Lei ha praticato il compromesso, perché non lo vuole qui?

“Il miglior compromesso che conosco è quello che portò allo statuto dei lavoratori dopo l’autunno caldo del 1969. I metalmeccanici ebbero migliori condizioni salariali e di lavoro. Ma era un compromesso dinamico perché condusse alla riforma sociale, mentre questo è regressivo perché è la prosecuzione dell’agenda Draghi”.

Cosa pensa di Calenda?

“È un conservatore stampo liberale. Uno che attacca il reddito di cittadinanza, l’unica misura presa per alleviare la povertà”.

Tronti dice che invece è necessario un fronte repubblicano.

“Lo rispetto molto e sono d’accordo con lui sulla prospettiva lunga che per entrambi resta la rivoluzione, ma sono in dissenso sulla politica di oggi perché non si può fare valere quella prospettiva restando prigionieri del mercato e dei sostenitori della guerra”.

La destra al potere quindi non le fa paura?

“Paura è una parola che in politica userei solo per la guerra. La destra va combattuta in nome della capacità di mobilitare le masse popolari”.

Per esempio?

“Uno degli elementi della destra reazionaria è l’uso politico dell’immigrazione, che si può combattere solo se la sinistra sa costruire una lotta generale per l’uguaglianza che coinvolga tutti gli ultimi”.

Quindi il centrosinistra non è credibile nei confronti di Salvini?

“Non è efficace”.

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