Da odiatore a odiatore, Cappellini bullizza il Di Battista tradito

Stefano Cappellini La Repubblica 10 agosto 2022
Di Battista-Grillo: la svolta tardiva del pasdaran che ha perso la fede nel guru
Dibba ha scoperto che il Movimento non è un partito democratico

 

Sono un prete ma non credo al Papa. Scientology è una fede ma quel Ron Hubbard non mi convince. Avrei potuto candidarmi nel Movimento 5 Stelle ma non mi fido di Grillo. Una di queste tre frasi l’ha detta ieri Alessandro Di Battista, spiegando in un video perché non sarà candidato alle prossime politiche. “Nessuno nel Movimento mi ha cercato, nessuno, mi dovete credere!”, ha scandito Dibba dopo aver spiegato che l’unico leale e sincero con lui è stato Giuseppe Conte, cioè l’unico che avrebbe potuto candidarlo in un attimo, e in teoria contro tutto e tutti, tanto che dopo lo sfogo di Dibba bisognerà aggiornare la celebre battuta di Fortebraccio su un vecchio leader socialdemocratico, inteso come Psdi: “Non mi ha telefonato nessuno, era Conte”.

Ieri Dibba ha picchiato sul fondatore e guru e garante, alias l’Elevato, come quando studiava da falegname. “Un padre padrone”, l’ha definito. Ha capito insomma come funziona l’M5S, che sarà mai il leggero ritardo, l’odiata sinistra in fondo ci mette molto di più a elaborare le sue svolte, vent’anni a botta di solito, lui ne ha impiegati poco più della metà per arrivare alla conclusione che il Movimento non è un partito democratico, minuscolo, e con la beffa di non poter nemmeno orsineggiare – “non ce lo dicono!” – dato che le sue nuove teorie su Grillo lo pongono in clamorosa sintonia con i giornaloni e la stampa mainstream asservita ai poteri forti che, oltre a commissionare questo pezzo, si erano accorti della tendenza autocratica del Movimento come di una mucca nel corridoio (detto che forse ora è Pier Luigi Bersani, sempre molto attento e aperto in tv alle tesi dibattistiane, che vede il corridoio libero). Comunque tempo al tempo, può essere che tra un lustro, ripensando alla sua fresca trasferta siberiana, a Dibba venga pure qualche dubbio su Putin.
Del resto, Ale ha da sempre una spigliata dialettica che sopravvive inconsapevole alla sua claudicante logica, e funziona per questo, perché come nei migliori programmi di Maria De Filippi, dove da giovanissimo andò a farsi provinare, non conta che i pensieri passino l’esame del principio di non contraddizione. Conta l’effetto. Conta il momento. Conta la smorfia. Qualche anno fa sul blog di Grillo scrisse un pezzo sull’Isis (“Isis, che fare?”, perché il nostro apprezza il lessico rivoluzionario e anche l’iconografia, qualche anno fa in tour si fece ritrarre in foto come il Che dei Diari della motocicletta) nel quale chiedeva che la si smettesse “di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale non si intavola una discussione”.

Poi, poco tempo dopo, lo invitarono al forum di Cernobbio e disse: “Non vado, lì c’è brutta gente”. Dategli da discutere con il tagliagole al Zarqawi, ma non fategli incontrare quel diavolo del cavalier Brambilla. Ai tempi della sua vertiginosa ascesa mediatica, quando già contendeva a Luigi Di Maio la palma del più sveglio del Movimento, non fu una selezione durissima, svelò che Berlusconi lo aveva fatto cercare da emissari (“Gli piaci, vuole conoscerti”), ma anche lì nisba. Dibba è disposto al simposio con i salafiti mica a un caffè col Cavaliere: “Certa gente ha l’inciucio nel Dna”, fece sapere ai giornali, e stracciò l’invito ad Arcore.

“Mi ha difeso solo Toninelli”, ha detto Dibba sempre nel video, e guai a cedere alla tentazione di ricorrere ai numerosi proverbi popolari sugli accompagnamenti. Ieri invece non ha randellato Di Maio, già ingiuriato a dovere nei giorni scorsi e dopo la scissione, e qualche ragione di comprensione bisogna concedergliela. Immaginate la scena come un fotogramma: Dibba e Di Maio a Bibbiano, allineati sul Pd mangiatore di bambini.

Poi una settimana dopo nasce il governo giallorosso. Di Maio diventa ministro degli Esteri. Dibba manda al macero il libro su Bibbiano che stava scrivendo. C’è di che legarsela al dito. Dibba è il campione del rossobrunismo. Gli piace la Russia, gli piace l’Iran, gli piace la Cina. “Vincerà la terza guerra mondiale”, ha dichiarato e gli occhi gli brillavano a sapersi dalla parte vincente del mappamondo. Gli sta sul gozzo ogni forma vivente di sinistra. Ha un record di dieci giorni di sospensione a Montecitorio perché impedì fisicamente a Roberto Speranza, uno dei politici più miti della storia repubblicana, di fare una dichiarazione. Condivide con Meloni la teoria sull’inattualità dell’antifascismo. “È l’unico che ha l’X Factor”, ha detto Fedez, uno dei suoi molti estimatori, che può ignorare Strehler ma riconosce da lontano un leader. Il guaio di Dibba è che al tavolo dei giudici del Movimento non ci sono quattro cantanti ma solo un ex comico. Per te il Movimento finisce qui.

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