Conte ha sbagliato ma sui 5 stelle un attacco volto a rompere l’alleanza con il Pd

Maria Teresa Meli Corriere della Sera 11 agosto 2022
Bettini: «Con il M5S dopo il voto? Il bello della politica è la sua imprevedibilità»
L’ex parlamentare dem: con l’agenda Draghi obiettivi rilevanti, ma era di unità nazionale. Ora il Pd ha il compito di indicare una prospettiva nuova


Goffredo Bettini, lei da mesi è in silenzio, come mai?

«Ho avuto tre anni di sovraesposizione. Per sostenere il Conte II, la segreteria di Zingaretti e la prospettiva politica di una alleanza progressista alternativa alla destra. Sono stato per questo molto attaccato, anche sul piano personale. E, tranne alcune eccezioni, non sono stato difeso. Ho fatto l’ombrello politico a tanti e la cosa che mi fa più male è che questa generosità è spesso scambiata per un ruolo di potere. Ho influenza, ma potere gestionale o istituzionale zero. Così ho staccato per quattro mesi. Ho scritto un libro eccentrico rispetto alla quotidianità. A 70 anni ho fatto i conti con la mia storia e i miei ideali di gioventù. Naturalmente il finale è in sospeso fino alle prossime elezioni».

Eppure continuano a tirarla in ballo, un giorno è la candidatura, un altro la linea sui 5 Stelle…

«Sì, c’è un’attenzione morbosa nei miei confronti. Molto al di là del peso che ho sulla scena pubblica. Forse sono le cose che dico a dare fastidio».

Tornando all’oggi, senza Renzi e Calenda la competizione con il centrodestra si fa difficile.

«La competizione con la destra sarebbe stata difficile in ogni caso. Servivano in campo tutti i democratici. Se si è arrivati a questo esito, non è per responsabilità del Pd. Letta è stato paziente e unitario fino al punto di rischiare l’autolesionismo. Ora siamo in campo con le nostre idee. È il momento di battersi, non di recriminare sul passato».

Lei era tra i più scettici sull’accordo con Calenda: non avreste dovuto provarci?

«Abbiamo fatto bene a provarci. Ma ho avvertito il mio partito che il percorso con lui sarebbe stato rischioso e difficile. A questo punto la chiarezza è d’obbligo. Calenda talvolta al nostro elettorato è sembrato una variante accattivante rispetto al Pd. A Roma ha preso i voti per questo. Invece è tutta un’altra cosa. Non parlo del suo carattere (ognuno ha il suo), ma di politica, di visione del mondo, di sensibilità verso i ceti popolari».

Il Pd ha messo su una sorta di Cln contro le destre, perché tenere fuori i 5 Stelle?

«Ha una sua logica quello che dice. Ed è buffo che lo chieda a me che mi sono speso fino all’ultimo per salvare la prospettiva unitaria con Conte. Non rinnego nulla delle scelte passate. Insieme abbiamo salvato l’Italia, ottenuto miliardi preziosi dall’Europa e affrontato con dignità ed efficacia la pandemia. Ma la sfiducia al governo Draghi è stato un grave errore di Conte. Ha mandato all’aria la nostra alleanza e un lavoro positivo che si stava svolgendo. È rimasta una ferita profonda. Dopo il 25 settembre si vedrà. Comunque non dò affatto per scontata la vittoria della destra. È divisiva, intimorisce una grande parte del Paese e nell’insieme ha un sapore illiberale condito con troppe promesse demagogiche e irrealizzabili».

Anche Fratoianni ha votato la sfiducia a Draghi.

«È diverso. Fratoianni con coerenza ha compiuto passi di avvicinamento. I 5 Stelle hanno rotto un patto precedentemente stipulato, catapultandoci in pochi giorni nel clima elettorale».

Con loro potreste allearvi dopo, in Parlamento?

«La bellezza della politica è nella sua imprevedibilità. Adesso la priorità è il voto al Pd e alla coalizione che siamo riusciti a costruire».

L’agenda Draghi è parte del programma elettorale del Pd?

«L’agenda Draghi ha realizzato obiettivi importanti. Ma è l’agenda di un governo di unità nazionale. Molti di essi vanno semplicemente portati a compimento, ma in una prospettiva nuova che il Pd ha il compito di indicare. È stato giusto stare appresso al 2-3-4% di Calenda, ma francamente è assai più utile e significativo guardare a quel 50% di Italia che non vota. È lì la miniera nella quale scavare per il riscatto della Nazione. Ecco perché è decisivo mettere al centro la credibilità della democrazia e le ingiustizie sociali che permangono e si allargano. Se riusciremo a essere convincenti, empatici, esemplari su questi fronti, guardando con gli occhi di chi nella vita fatica, ogni impresa è possibile. Parlo di questioni molto concrete. Salario minimo per i lavoratori; recupero di uno stipendio in più su base annua; difesa del reddito di cittadinanza, con le modifiche tecniche necessarie suggerite dall’esperienza; un fisco progressivo contro l’ingiustizia della flat tax; una tassa di successione sui grandi patrimoni, quelli oltre i 5 milioni di euro, per sostenere l’avvio di una vita autonoma per i giovani. Potrei continuare ma ci siamo capiti».

In caso di sconfitta elettorale, se il Pd dovesse superare Fratelli d’Italia dovreste ritenervi soddisfatti, oppure secondo lei dovreste aprire una riflessione?

«Essere il primo partito è importante. Impedire che la destra conquisti i 2/3 del Parlamento è decisivo per salvare la Costituzione. Ma noi lottiamo per vincere».

Avete qualcosa da rimproverarvi nella gestione della pre-crisi?

«Vede, siamo stati gettati nella mischia all’improvviso, le pare che ci mettiamo a fare un congresso adesso? A rimproverarci errori? Letta ha la mia totale fiducia e ha deciso tutto collegialmente».

Bonaccini ha detto che non rinuncerà al riformismo…

«Avremo il tempo di discutere. Riformismo è una parola tradita, abusata, fraintesa. Sono tutti i riformisti! Ma il riformismo vero è solo una cosa: accorciare le distanze tra il privilegio e il dolore sociale. Il resto francamente sono chiacchiere da talk-show».

Lei crede al «pericolo fascista» o pensa piuttosto che siano altri i problemi se vince il centrodestra?

«Non credo al pericolo fascista se intendiamo il fascismo storico. Attenzione a non delegittimare l’avversario fino a renderlo un mostro. Credo invece in una possibile stretta autoritaria e illiberale; accompagnata da un’impronta di classe a favore dei più ricchi».

Durante i giorni che hanno preceduto la caduta di Draghi lei che conosce bene Conte non gli ha consigliato di cambiare strada?

«Eccome se ci ho parlato! Ho cercato in tutti i modi di fargli cambiare idea, contando anche sulla nostra amicizia. Niente da fare. Si era convinto che il M5S, continuando a stare nel governo Draghi, sarebbe pressoché sparito. Ha fatto una scelta di sopravvivenza partitica. Certo sulle sue valutazioni non hanno aiutato la campagna aggressiva contro di lui di tutta l’informazione e gli appelli di Calenda a distruggerlo».

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