Calcio, vino e voti. E il sentirsi i padroni della strada e dei territori

Alessandro Di Matteo La Stampa 20 agosto 2022
Ruberti: “Nessuna corruzione, parlavamo di calcio, qui non c’è niente di inconfessabile”
«Abbiamo affrontato normali questioni politiche in vista delle elezioni regionali, le frasi di quel filmato sono assolutamente fuori luogo e non mi rispecchiano»


Accenna al calcio – una discussione sul derby Roma-Lazio – poi al vino che qualcuno a tavola avrebbe bevuto in eccesso. Alla fine ammette che si è arrivati anche a questioni più pesanti, che hanno a che fare con la politica, ma rimane difficile capire cosa abbia portato Albino Ruberti a quella sfuriata così violenta. Il capo di gabinetto del sindaco di Roma, costretto alle dimissioni dopo la diffusione del video che lo vede protagonista, al telefono ha poca voglia di parlare, riconosce che le sue sono state «frasi assolutamente fuori luogo, seppure estrapolate da un contesto privato». Esclude che dietro ci siano pressioni indebite su di lui, ma non chiarisce, di fatto, cosa sia davvero successo. Accenna a temi legati ad una «normale collaborazione politica, anche in vista delle regionali», ma non va oltre.

Cinquantaquattro anni, figlio d’arte – il padre era Antonio Ruberti, ministro dell’Istruzione nei governi De Mita e Andreotti – una carriera da manager dei beni culturali, per quasi vent’anni alla guida di Zetema (la società del comune di Roma che gestisce i servizi museali), poi in Civita, associazione che si occupa di arte e patrimonio culturale.

Da qualche anno, però, è soprattutto un politico: capo di gabinetto prima con Nicola Zingaretti alla Regione Lazio, poi – appunto – con Gualtieri. «Un uomo infaticabile – dice un consigliere comunale Pd – ben più di un capo di gabinetto, uno che risolve i problemi…».

Di temperamento è focoso, non a caso ha per soprannome «Rocky». Già nel 2018 usò le maniere forti per bloccare un contestatore che voleva salire sul palco dal quale parlava Zingaretti. Nel 2020, poi, in pieno lockdown, venne beccato a pranzo su una terrazza di amici e ai vigili che erano intervenuti riservò, pare, un classico «lei non sa chi sono…». Lui stesso ammette di essere «irascibile», ma «ognuno ha pregi e difetti. E chi mi conosce sa che sono una persona per bene, onesta e dalla quale sicuramente non c’è nulla da temere». Precisazione doverosa, dopo il video in cui urla al suo interlocutore «in ginocchio, ti sparo, t’ammazzo».

Appunto, «parole fuori luogo», concede.

La storia del derby Roma-Lazio come casus belli è fragile e infatti a poco a poco esce fuori un quadro più complesso. «Ma è come ho detto rispetto al tema del calcio – prova ad insistere – da lì è partita la discussione. E c’è stata una battuta legata al vino…».

Difficile però che dal calcio e dal vino si arrivi a «me te compro…» e «ti sparo». E allora: «Ma sì, il calcio è stato il motivo scatenante, che ha aperto sul momento una ulteriore reazione mia, certamente esagerata nelle parole: sono frasi che non mi rispecchiano, ma sono assolutamente fuori luogo, anche se estrapolate da un contesto privato. Ma non c’era niente di inconfessabile. Capisco che voi giornalisti facciate fatica a crederlo, ma non posso inventarmi cose che non ci sono»

Quello che sicuramente c’è è quel «me te compro» pronunciato da Vladimiro De Angelis, fratello di Francesco De Angelis, ex europarlamentare Pd e uomo forte del partito a Frosinone. Una frase che, insieme ad altre, ha scatenato Ruberti, come se fosse oggetto di pressioni o richieste indebite.

«Le richieste non ci sono – assicura Ruberti – ho reagito per i motivi che ho detto. Quando dico: “Ora ti dico che mi ha detto tuo fratello a tavola…” è perché c’era un contesto di collaborazione politica positiva e mi dispiaceva quell’affermazione, qualcosa di molto lontano da me. Non posso inventarmi delle cose non dette».

Insomma, si parlava di questioni legate ad «una normale collaborazione politica», qualcosa che aveva a che fare anche con «la collaborazione sulle regionali… Ma nulla legato a richieste o cose improprie. Se ci fossero state sarei stato il primo a denunciare».

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