La questione incarico dopo il voto: a chi parla la Meloni

Massimo Villone il Manifesto 30 agosto 2022

 

Auto-candidatura, Meloni diffida i suoi partner

 

Nel tempo di internet, dominato da Twitter, Instagram, Facebook, e da ultimo TikTok, capita che il politico mandi avanti la parola, o il giornalista la penna. Il cervello, come l’intendenza, seguirà

 

E, come l’intendenza, può anche darsi che perda la strada.
Un buon esempio lo troviamo nell’auto-candidatura a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, tradotta in una formula che suonava come una diffida a Mattarella ad adempiere con la nomina a presidente del consiglio nel caso di successo elettorale di Fratelli d’Italia. Esternazione forse legata alle illazioni su un presunto non gradimento del Quirinale verso l’ipotesi di Meloni premier. È seguita una smentita del Colle, ovvia quanto superflua. La domanda è: deve in qualsiasi modo Mattarella occuparsi o tener conto delle esternazioni di un leader politico, per di più fatte in campagna elettorale, e dunque classificabili, nella migliore delle ipotesi, come dolus bonus? La risposta è: ovviamente no.

Di questo possiamo assumere che sul Colle tutti siano perfettamente consapevoli. La ragione della inutile smentita, probabilmente, è stata solo nel voler evitare che qualcuno addebitasse al presidente di aver mancato di smentire, pur se inutilmente. Parola o penna in corsa, cervello al palo. Ma Giorgia Meloni ha proprio voluto dare prova di analfabetismo costituzionale? Probabilmente no, visto che non si mostra del tutto priva di intelligenza politica. Si può allora pensare che la sua esternazione non fosse indirizzata a Mattarella, ma ai suoi partner di coalizione. Che infatti si sono affrettati a nascondersi dietro un peloso ossequio al ruolo del presidente. È ben vero che c’è l’accordo nella destra coalizzata che il partito con più voti indichi il nome per Palazzo Chigi. Ma intanto qualsiasi accordo politico si fonda sulla clausola implicita rebus sic stantibus, e non sappiamo davvero quali saranno gli scenari dopo il 25 settembre. Inoltre, e ancor più, le scelte del capo dello Stato guarderanno non ai risultati elettorali, ma al contesto parlamentare che ne deriva, e che gli viene rappresentato nelle consultazioni.

Dopo il 25 settembre Mattarella avrà un solo obiettivo: conferire l’incarico di formare il governo a chi dispone in parlamento di una maggioranza ai fini della instaurazione del rapporto di fiducia ai sensi dell’art. 94 della Costituzione. I suoi personali gradimenti non conteranno. Così, c’è uno scenario in cui con certezza si apre a Giorgia Meloni la via di Palazzo Chigi. È sottoposto a due condizioni. La prima, che disponga in entrambe le camere dell’appoggio di una maggioranza assoluta dei componenti, che siano stati eletti con la sua coalizione o anche con altra forza politica. La seconda, che dalle forze parlamentari maggioritarie anzidette venga indicato a Mattarella il suo nome, in modo univoco, esclusivo, affidabile. Già una rosa di nomi indicata da una o più componenti della maggioranza potrebbe creare uno scenario diverso ed aprire la via ad altro risultato.

E se ad esempio della rosa facesse parte Draghi? Nel caso di maggioranza sufficiente nei numeri e compatta ai fini della fiducia parlamentare, il capo dello Stato non potrebbe, invece, rifiutare il conferimento dell’incarico a persona a suo avviso contraria alla partnership atlantica, alla Nato, all’Europa. O a persona fautrice di politiche regressive e oscurantiste per i diritti e l’eguaglianza. Né potrebbe impedire la formazione di un governo in tal modo orientato, salvo forse – con cautela – pesando sulla nomina di qualche ministro. La funzione di garante della Costituzione il capo dello Stato la esercita su singoli atti, come l’autorizzazione al governo a presentare disegni di legge, la promulgazione delle leggi, l’emanazione di decreti, sui quali il suo scrutinio attiene alla manifesta incostituzionalità. Sugli indirizzi politici generali può esercitare una moral suasion, che vale per quel che incide nel paese, e di riflesso nella politica e nelle istituzioni. Questo vuol dire che se l’Italia decide nel voto di volgersi a destra, non sarà Mattarella a poterlo impedire. Che gli piaccia o non gli piaccia. È un compito che spetta a partiti, sindacati, società civile. Chi vuole mantenere il paese nel solco della Costituzione, dell’eguaglianza, dei diritti, dell’unità e della coesione sociale e territoriale, scenda in campo ora, in campagna elettorale. Dopo il voto potremmo trovarci in un paese diverso da quello che abbiamo conosciuto. La battaglia per la Costituzione è solo all’inizio.

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