La svolta di Salerno della Meloni, Togliattiana e Macroniana per Repubblica

Francesco Bei La repubblica 31 agosto 2022
Il premier continua a lavorare con il suo governo. La presidente di FdI costretta alla linea europea

 

Meno di quattro settimane al voto ed è sempre più evidente lo scollamento tra il mondo virtuale in cui si dibattono i partiti e la durezza delle circostanze che il Paese e l’Europa devono affrontare, a partire dalla folle rincorsa dei prezzi del gas, moltiplicati per dodici dall’inizio dell’anno. Questo iato fra reale e virtuale è ancora più grande se osserviamo l’azione del governo Draghi.


Il premier viene dipinto in queste ore come un codardo, anzi peggio, come un irresponsabile che si starebbe godendo il naufragio senza più dare ordini all’equipaggio, un ritratto che campeggia sulle prime pagine dei quotidiani più vicini alle forze politiche che ne hanno provocato la caduta e che ora gli ingiungono di “salire a bordo”, paragonandolo al comandante Schettino.

I fatti tuttavia dicono altro. A dispetto delle alte grida di quei leader che, incuranti della guerra, della crisi, della pandemia, del ricatto energetico della Russia, lo hanno mandato a casa, Draghi ha proseguito in silenzio a lavorare. E, soprattutto sul fronte del gas, i risultati sembrano sul punto di arrivare. Ursula von der Leyen, in una telefonata con il presidente del Consiglio, ha assicurato infatti che presto, forse già in tempo per il Consiglio Ue straordinario sull’energia del 9 Settembre, la Commissione presenterà il suo piano per il tetto europeo al prezzo del gas e per il decoupling, ovvero la fine di quel sistema folle che aggancia la quotazione dell’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili al prezzo del metano. Due fronti su cui da tempo l’Italia, insieme a Spagna e Francia, sta spingendo.

Ma il governo non sta fermo nemmeno nell’ordinaria amministrazione, che poi tanto ordinaria non è visto che si tratta di mettere a terra centinaia di norme di queste esecutivo e di quelli precedenti, comprese i due governi Conte. Il sottosegretario Roberto Garofoli ieri ha fatto il punto con i capi di gabinetto dei vari ministeri ed è venuto fuori che da febbraio del 2021 sono stati adottati 1260 provvedimenti, avendone ereditato 679 dai governi Conte I e II. Di questi ne sono rimasti da smaltire 129. Draghi ha chiesto ai suoi ministri una spallata finale, ovvero di muoversi il più possibile per svuotare i cassetti e approvare 121 provvedimenti a settembre e 122 ad ottobre. Senza contare che anche la prima mission, ovvero l’attuazione del Pnrr, sarà anticipata il più possibile ad ottobre e non, come concordato con Bruxelles, alla fine dell’anno. Il senso di questa fretta è evidente ed è quello di consegnare a chi gli succederà a palazzo Chigi una situazione non emergenziale, una condizione ordinata che consenta di pianificare la legge di bilancio senza panico. E di presentare il nuovo governo in Europa con i compiti a casa fatti. Un ultimo servizio al Paese di un uomo che, per almeno altri due mesi, sarà al lavoro a palazzo Chigi per finalizzare l’obiettivo a suo tempo concordato con il Presidente Mattarella: mettere al sicuro l’Italia.

Mentre Draghi ora et labora, è interessante osservare come Giorgia Meloni stia gestendo la fase finale della sua cavalcata elettorale. Senza apparire blasfemi, è come se la leader di Fratelli d’Italia avesse introiettato la lezione di Palmiro Togliatti, quello della svolta di Salerno. Da una parte pragmatismo e parole moderate, dall’altra slogan populisti per la vecchia base elettorale. All’epoca si parlò di ambiguità togliattiana, perché il segretario del Pci da una parte alimentava i sogni rivoluzionari dei partigiani e dei militanti che guardavano a Mosca, dall’altra accettava la monarchia, trattava con la Democrazia Cristiana e introduceva il concetto sibillino di democrazia progressiva, che altro non era che un sì alla cara, vecchia democrazia parlamentare. L’ambiguità meloniana è sempre più evidente. I meme e le card sui social sono costruiti per i militanti duri e puri, che si immaginano il “blocco navale” con la Garibaldi e la Cavour al largo di Tripoli a sparare sui barconi. Mentre la leader spiega a bassa voce che in realtà pensa a una missione europea (ergo, realizzata con francesi e tedeschi) in accordo con le autorità libiche. E se a qualcuno torna in mente la missione Sophia, realizzata durante i governi di centrosinistra, ha centrato il punto. In FdI spiegano che il modello è proprio quello. Non a caso il cuore della missione Sophia era “adottare misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti di esseri umani” (citazione dal sito della Difesa). La stessa “doppiezza” togliattiana, oltre che sui migranti, Meloni la mette in pratica sulle misure per contrastare gli effetti della crisi. Nei comizi e sui social sembra quasi che il prossimo governo debba gettare banconote dall’elicottero per ristorare qualsiasi categoria. Eppure, se si legge tra le righe, si capisce che Meloni è molto attenta a non dare un messaggio sbagliato ai partner europei e ai mercati. A riprova di ciò l’intervista di Giulio Tremonti, candidato da FdI, a questo giornale, nella risposta in cui definiva lo scostamento di bilancio (chiesto come un mantra da Salvini) “una misura molto rischiosa”. Sono solo due esempi, ma si potrebbe andare avanti a lungo su tutti i fronti caldi, dalla giustizia alle sanzioni alla Russia.

L’approdo finale di questa operazione, la vera “svolta di Salerno” di Meloni sarebbe una cosa che i suoi uomini più accorti iniziano già ad ammettere a mezza bocca. Una alleanza con l’odiato Macron, visto finora come il colonizzatore della povera Italia grazie alle quinte colonne nascoste nel Pd lettiano. Il terreno di questa intesa impossibile sarebbe proprio l’Europa, con la discussione intorno al patto di Stabilità. Una revisione dei rigidi criteri voluti dalla Germania e dai Paesi frugali vede sulla stessa barricata sia Roma che Parigi. Se Meloni dovesse stringere un patto con l’Eliseo per riformare i trattati sarebbe la nemesi finale della togliattiana nata populista e finita draghiana.

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