Un film profetico rispetto al disastro sociale ed ecologico che racconta

Arianna Finos La Repubblica 9 settembre 2022

 

Max Tortora nel cast di ‘Siccità’: “Siamo egoisti e cattivi, mandiamo le foto dei rigatoni ma nessuno ti chiede come stai”

 

Nel film di Virzì è un camiciaio caduto in disgrazia in una Roma in cui non piove da tre anni. “Lo amo per il dolore e il senso di rivalsa che ha dentro”

 

In Siccità, il film corale ambientato in una Roma in cui non piove da tre anni che Paolo Virzì porta alla Mostra fuori concorso (dal 29 settembre in sala, Wildside e Vision) Max Tortora interpreta un artigiano sull’orlo del fallimento.

Torna a Venezia dopo “Sulla mia pelle”, su Stefano Cucchi.

«Un film importante, come lo è Siccità: profetico rispetto al disastro sociale ed ecologico che racconta, rispetto alla pandemia. Una parabola discendente che la nostra società sta vivendo. Impreparata, presa da sé stessa, cattiva. Nel primo lockdown gente che stimavo si è rivelata priva di empatia e gentilezza. In un’epoca in cui il telefonino sostituisce il telefono e ti mandano le foto dei rigatoni, nessuno ha bussato alla porta per chiedere come stavo. Abbiamo fatto la fila per il pane come in guerra, e ce lo siamo già dimenticati. Il mio personaggio è un camiciaio in disgrazia, sporco, vive in un vecchio Suv con il cane. Lo amo per il dolore e il senso di rivalsa che ha dentro. Non è cattivo».

In molti hanno avuto un tracollo.

«Per alcuni non è solo economico, ma psicologico e senza ripresa. Sono sparite attività ma anche l’educazione. Non giudico, per due anni non ho lavorato, ma sono abituato a discese e risalite».

Sul telefonino ha la sua foto con il cane e una uguale di Alberto Sordi.

«Lui, Magnani e Fabrizi sono il mio imprinting. Nel ‘90 ho fatto l’operatore pur di affiancare Sordi».

Ha fatto due film con i fratelli D’Innocenzo.

«Sanno quel che vogliono, sono colti. Credo nei giovani. Sono anche nel debutto di Micaela Ramazzotti, una bella storia. Io suono il piano, un attore è come un pianista, devi suonare lungo tutta la tastiera. Ora mi pare che sto suonando bene».

Quando ha scoperto il mestiere?

«Presto. Investivo la paghetta dal giornalaio comprando tutto quel che era leggibile, facevo sbattere le macchinine e inventavo un dialogo tra i guidatori. A teatro mi facevo assumere per smontare le scene, pur di dire anche una battuta. Il mestiere è la mia vita».

È alto un metro e novantasette.

«Mio nonno era alto come me, per la sua epoca era come essere due metri e quaranta. A un certo punto ho scoperto che le nuove generazioni mi stavano raggiungendo, non mi si nota più. Sono rientrato nella fascia media, non compro più le scarpe su misura».

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.