“Anche le donne abusano del potere, quando ce l’hanno”

Fulvia Caprara La Stampa 02 Settembre 2022

 

Cate Blanchett: “Le molestie non hanno sesso”

 

L’attrice è una direttrice d’orchestra tirannica nel film di Todd Field. «Anche le donne, quando hanno il potere, a volte ne abusano»


Un raggio di luce perpetuo, scintillante, ma anche in grado di incutere una certa soggezione, accompagna la figura di Cate Blanchett, sullo schermo, sul tappeto rosso dove rende immediatamente invisibili tutti quelli che la circondano, nel corridoio dell’albergo del Lido dove sta per concedere un’intervista, in un tripudio di attese epocali, uffici stampa sull’orlo di una crisi di nervi, truccatori sempre sul chi vive, casomai fosse necessario un ritocco. Che, naturalmente, non serve, perché, anche dopo ore di incontri con la stampa internazionale, nel giorno in cui alla Mostra viene presentato (in gara) Tar di Todd Field, Blanchett non mostra cedimenti, al massimo qualche sospiro, condiviso con la partner Nina Hoss, perché sotto i riflettori fa un po’ caldo.

A Venezia c’è “Tar” con Cate Blanchett: “Il sesso è un’arma che controlla il potere. Per le donne come per gli uomini”

Nel film che ribalta il teorema MeToo, sostenendo che il pericolo della sopraffazione non è questione di sesso, ma di potere, Cate Blanchett, già in pole position per una candidatura all’Oscar, oltre che per la Coppa Volpi alla Mostra, interpreta Lydia Tar, una delle più grandi compositrici e direttrici d’orchestra, celebrata in tutto il mondo, icona della musica potente e inarrivabile: “ «Come accade spesso alle persone che si trovano in una posizione che comporta autorità – osserva l’attrice – Lydia è una figura enigmatica. E in questo ho visto una sfida interessante, volevo infondere vita al personaggio, cercare momenti e situazioni che avrebbero potuto offrire al pubblico un modo per connettersi alla sua esperienza, quella di una donna che, fondamentalmente, non conosce se stessa fino in fondo».

Che cosa le è piaciuto di più del personaggio di Tar?
«Ho ammirato la sua incredibile abilità, ho avvertito che stava attraversando un momento critico rispetto al suo potere e mi sono immedesimata nella sua acuta sensibilità, ho pensato che stesse vivendo una fase difficile, un processo di redenzione, l’ho accompagnata lungo questo viaggio. Lydia è perseguitata da qualcosa che riguarda il suo passato, è piena di contraddizioni, è arrivata sul punto più alto dell’Olimpo, ma, in quanto essere umano, sa che il passo successivo potrebbe farla precipitare in basso, ed esserne consapevole richiede molto coraggio».

Per interpretare il film ha imparato a dirigere davvero l’orchestra, è stato difficile?
«Il regista ha detto fin dall’inizio che voleva che nel film la musica fosse molto presente, e voleva musica realmente eseguita per lo schermo, così abbiamo suonato sul serio, è stato impegnativo, un sacco di lavoro, ma credo che faccia parte del nostro mestiere di attrici. Credo sia la stessa cosa quando ti trovi a dover interpretare un campione olimpico di nuoto, devi imparare quella disciplina, è normale, devi rendere credibile il personaggio».
L’impressione, vedendo il film, è che il regista abbia voluto sottolineare il fatto che il pericolo, nei rapporti interpersonali, non sia tanto legato alla questione del sesso e del genere, quanto, invece, nell’esercizio del potere. Che cosa ne pensa?
«Spesso il sesso è usato come un’arma, e quindi è un’arma di potere. Ma la cosa interessante del film è nel sistema che caratterizza l’ambiente in cui si muovono i personaggi, un sistema talmente importante e influente che può arrivare a cambiare la natura stesse delle persone. In più c’è un altro aspetto, le donne nelle orchestre rivestono ruoli importanti, ma non capita così spesso che siano loro a dirigere. Lydia si ritrova a prendere decisioni poco sagge che sono anche il frutto dell’essere stanca, direi esausta, di trovarsi al centro di un’attenzione mediatica. Sei sul podio e sei una donna, buona parte dei tuoi sforzi e della tua attenzione sono concentrati sul fatto che sarai giudicata soprattutto per questo».
Lydia Tar è una donna realizzata, di successo, che, almeno all’inizio della storia, sembra aver raggiunto tutti gli obiettivi che si era posta. Sente di avere qualcosa in comune con lei?
«Penso che io stia ancora diventando “chi sono”, insomma sto ancora spiccando il volo, non ho mai considerato la mia identità come un qualcosa di statico, di fermo. La cosa fondamentale del film sta piuttosto nel concetto della fiducia, che è necessaria in qualsiasi tipo di rapporto tra individui. Ci sono persone che, quando vengono tradite, sono in grado di perdonare, altre non ne sono capaci e Lydia è così, soffre per essere stata tradita e ha difficoltà nel confrontarsi con il perdono».

Lydia ha una compagna, Sharon, e in uno dei passaggi del film si discute sull’opportunità che venga chiamata Maestro o Maestra, temi all’ordine del giorno. Lei che ne dice?
«Non avevo mai pensato al mio personaggio in riferimento alla sua sessualità, ogni forma d’amore è importante e può essere educativa, quello che mi interessava era rappresentare l’umanità di Lydia. Questo non è un film sulle donne, ma sugli esseri umani».

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