«Viva la sovversione e viva il cinema!».

Fulvia Caprara La Stampa 11 settembre 2022
Luca Guadagnino: “Dedico il mio premio agli iraniani. Viva la sovversione e viva il cinema”
Il regista commosso: «Fare film è sempre stato il sogno della mia vita»
«Viva loro, viva la sovversione e viva il cinema!».

 

Luca Guadagnino, Leone d’Argento per la miglior regia con il suo Bones and all, dedica il riconoscimento ai registi iraniani Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad, arrestati nel loro Paese come Jafar Panahi. «Fare film è sempre stata la mia vita. Bones and all è come un matrimonio speciale tra Italia e America, e ci mostra che il cinema non conosce confini». Prima di sbarcare al Lido ha trovato il tempo per un necrologio in onore della Regina: «Rosa, celeste, verde pallido, viola, rosso acceso, rosso scuro, blu profondo, blu cobalto, verde pisello, giallo. Tutti i colori del mondo, il mondo che cercava comunque di dominare e che era ancora impero per sua Maestà Regina Elisabetta». Adesso si gode la felicità.

La storia di Bones and all contiene una metafora globale e in questo sta gran parte del suo fascino. Se dovesse sintetizzarla, cosa direbbe?

«E’ la storia di due giovani che scoprono che, per loro, non esiste un posto da poter chiamare “casa”. Per questo sono costretti a reinventarselo. Maren e Lee vanno alla ricerca della loro identità in situazione estreme, ma le domande che si pongono sono universali: chi sono, cosa voglio? Come posso sfuggire a questo senso di ineluttabilità ed entrare in sintonia con qualcun altro?».

Che cosa l’ha attratta del romanzo di Camille DeAngelis?

«Sono sempre stato attirato dalle persone che, forse per scelta, non sono al centro dei giochi. Per me Bones and all è la storia di due persone obbligate a vivere ai margini della società. Non ho mai visto il romanzo come un horror. Volevo che le persone amassero questi personaggi, li comprendessero, tifassero per loro e non li giudicassero».

Ha un fiuto speciale per i fremiti delle nuove generazioni. Perché la interessano tanto?

«I giovani sono creature che vibrano dell’utopia, ancora non sono cinici e sanno che io ammiro questa loro caratteristica. E infatti in Bones and all non c’è ombra di cinismo. Per come la vedo io, la satira e il cinismo rischiano di diventare, con eccessiva facilità, una coperta sotto cui nascondere le cose, e, in questo film, io volevo uno sguardo diverso. Volevo essere pienamente fedele alle emozioni dei protagonisti».

Il sodalizio con Timothée Chalamet produce, dopo Chiamami col tuo nome, ancora frutti eccezionali. Su che si basa?

«Ho detto fin dall’inizio che avrei fatto Bones and all solo se ci fosse stato Timothée, lui ha adorato la sceneggiatura e ci abbiamo lavorato insieme. E’ un artista che ammiro, un ragazzo pieno di energia intellettuale, un cineasta, un amico. Quando abbiamo girato Chiamami col tuo nome sapevamo che il nostro non era un dialogo destinato a chiudersi, è stata un’esperienza stupenda, da quel momento ho visto Timothée sbocciare, sia nel cinema che nella vita, come persona».

Bones and all è ambientato in Usa negli Anni ’80. Perché ha scelto questo paesaggio?

«Gli Anni ’80 sono stati un periodo di grandi contraddizioni, in cui alcuni comparti dell’economia Usa hanno visto una forte espansione, mentre altri ne sono usciti impoveriti, in cui l’ottimismo era alle stelle, ma molti si sono sentiti tagliati fuori. Corrisponde alle contraddizioni interne dei personaggi, al loro tentativo di sistemarsi senza avere, però, alcuna possibilità di riuscirci».

Taylor Russell ha vinto il premio Mastroianni miglior esordiente per il ruolo di Maren, come la descriverebbe?

«Maren è una giovane vagabonda in cerca di sé stessa, nella più classica tradizione letteraria americana. É il riflesso cinematografico di tutte le possibilità che fanno parte di noi in quanto esseri umani».

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