Salta il tetto agli stipendi pubblici, ma nessuno lo sapeva

 

Marco Galluzzo Corriere della Sera 14 settembre 2022
 
Stipendi, via il tetto per i dirigenti pubblici. Il «disappunto» di Palazzo Chigi
 
Al Senato passa un emendamento di FI che concede una deroga al tetto di 240 mila euro per i manager della Pubblica amministrazione e delle forze dell’ordine. Il Pd: interveniamo alla Camera. Il Mef: da noi soltanto un avallo sulle coperture

 

Lo aveva voluto Matteo Renzi, quando era capo del governo, in un clima in cui i Cinque stelle crescevano e denunciavano la stortura di stipendi pubblici troppo alti. Ieri il Senato ha fatto saltare il tetto di 240 mila euro di retribuzione massima per le figure apicali della Pubblica amministrazione.

Grazie ad un emendamento presentato da Forza Italia, ma frutto di una convergenza politica anche con esponenti del Pd, un emendamento al decreto Aiuti approvato martedì da Palazzo Madama, stabilisce che «al capo della Polizia, al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, al comandante generale della Gdf, al capo del Dap, così come agli altri capi di Stato maggiore, nonché ai capi dipartimento ed al segretario generale della presidenza del Consiglio, ai capi dipartimento ed ai segretari generali dei ministeri è consentito, anche in deroga al tetto di 240 mila euro previsti per i manager pubblici, un trattamento economico accessorio», nel limite massimo di un fondo che dovrà essere definito da un ulteriore decreto dal governo, su proposta del ministero dell’Economia.

La notizia è che salta un tetto retributivo che ha avuto una caratura simbolica nel momento in cui è stato introdotto, ma anche la reazione del governo in carica è da segnalare: da Palazzo Chigi infatti fanno filtrare «il disappunto» di Mario Draghi per una misura che non condivide, e che, si aggiunge, «non verrà mai approvata» da questo esecutivo. Ma non solo: in un primo tempo, subito dopo l’approvazione parlamentare, visto che l’emendamento è stato riformulato dal ministero dell’Economia, dentro l’esecutivo è nato un piccolo giallo. Come mai il Mef non ha detto di no ad una norma che il premier non condivide? La risposta è semplice: i tecnici del ministero hanno fatto solo una valutazione tecnica delle coperture individuate (e votate) dai parlamentari delle Commissioni Finanze dei due rami del Parlamento. Se il provvedimento è finanziariamente coperto, il Mef non può che dare disco verde.

Colpisce anche la reazione stizzita di Palazzo Chigi, visto che il decreto Aiuti bis, data la sua importanza per l’economia nazionale, è seguito passo dopo passo, con attenzione certosina, anche dagli uffici della presidenza del Consiglio. Insomma c’è stato anche un corto circuito, fra diverse istituzioni. «Un follower mi chiede come mai è saltato il tetto allo stipendio dei manager pubblici? Quello era un tetto che avevo messo io. Oggi il governo ha fatto questa riformulazione e non avevamo alternativa che votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero 17 miliardi di aiuti alle famiglie…», ha dichiarato Matteo Renzi.

«Presenteremo alla Camera dei deputati un ordine del giorno al dl Aiuti bis, impegnando il governo a modificare la norma e ripristinare il tetto nel primo provvedimento utile e cioè nel dl Aiuti ter», annunciano Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, capogruppo Pd rispettivamente alla Camera e al Senato. Insomma potrebbe anche essere un caso che dura poco più di 48 ore, visto che giovedì alla Camera c’è il voto definitivo sul decreto Aiuti bis. Quello che però tutti dicono, sia nel governo che al Mef, che nei partiti, ma lo dicono sottovoce, è che il tetto dei 240 mila euro lordi ha prodotto storture che vanno corrette: alcuni capi delle Forze armate guadagnano quanto i loro capi di gabinetto, alcuni capi di gabinetto dei ministeri non si trovano perché in molti casi devono rinunciare ad una carriera che ha retribuzioni migliori.

 

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