A Samarcanda il mondo multipolare si de-dollarizza

Luigi Pandolfi il Manifesto 17 settembre 2022
Scalfire l’egemonia del dollaro nel mondo multipolare
Samarcanda. Materie prime, commercio, investimenti e moneta. Al centro i nuovi rapporti tra Cina e Russia, improntati alla convenienza, ma anche ad una certa diffidenza.


Samarcanda è stata per secoli sinonimo di ponte tra Europa ed Oriente. Lo snodo principe della Via della seta. Al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), che qui si è svolto dal 15 al 16 settembre, si sono invece serrati i ranghi contro il cosiddetto «Occidente collettivo», richiamando, a corredo, l’urgenza di una «riforma inclusiva ed anti-discriminatoria» dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), secondo una logica multilaterale. Il tema della pari dignità e dell’uguaglianza nelle relazioni economiche globali, tanto caro a Pechino.

La Sco, fondata dai cinesi nel 2001, riunisce, insieme al «gruppo dei cinque» (Cina, Russia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan) ed all’Uzbekistan (presidenza di turno), il Pakistan, l’India e l’Iran (appena entrato), con l’Afghanistan, la Mongolia, la Bielorussia in veste di «osservatori». Poi ci sono i «partner di dialogo»: Sri Lanka, Turchia, Cambogia, Nepal, Azerbaigian, Armenia, Egitto e Qatar, ai quali ora si sono aggiunti anche Bahrain, Maldive, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Myanmar. Insieme rappresentano il 45% della popolazione globale e il 30% del pil mondiale. Cosa unisce Paesi tanto diversi e in alcuni casi perfino in guerra tra di loro (si pensi ad Azerbaigian e Armenia)?

Certamente opportunità di ordine economico e commerciale (la Belt and Road Initiative) e convenienze nell’accesso alle materie prime energetiche (gas, petrolio e carbone russi). Ma ci sono anche motivazioni strategiche. La guerra in Ucraina sta fungendo da acceleratore nella transizione geopolitica iniziata già prima della pandemia. Da qui, la necessità di un nuovo ordine internazionale multipolare, per arginare le mire imperialistiche dell’Occidente a guida Usa (alcuni di questi Paesi sono sotto sanzioni Usa/Occidente) e mettere fine alle guerre economiche, usate spesso «come arma per sopprimere la sovranità degli Stati».

Soprattutto da parte di Pechino (dubbi sulla guerra), che però sta riempiendo i vuoti lasciati dalle imprese occidentali in Russia, beneficiando al contempo di materie prime a basso costo. L’interscambio tra i due Paesi è aumentato di oltre il 30% nei primi otto mesi dell’anno. Nello stesso periodo Gazprom ha aumentato del 60% le forniture di gas alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia.

E mentre Mosca ha scalzato l’Arabia Saudita dal podio dei fornitori di petrolio alla Cina, quest’ultima sta inondando il mercato russo delle sue automobili (26% del mercato ad agosto contro il 9% del primo trimestre). Fonti energetiche da un lato, manifattura dall’altro. Una catena del valore che ricorda molto quella costruita in Europa nei decenni scorsi, oggi in dissoluzione a causa della guerra e delle sanzioni. «Cambiamenti irreversibili», dice Mosca.

E i pagamenti? Non c’è dubbio che la partita riguardi anche le monete di riferimento del commercio mondiale. L’idea è quella di rompere il sistema dollarocentrico. E l’unico modo per farlo è quello di contrapporre alla «moneta fiat» per eccellenza una moneta ancorata al valore delle materie prime strategiche, come il gas e il petrolio. Uno nuovo «sistema aureo» dopo la fine di Bretton Woods. Non dimentichiamo che gli Usa, da quando è stata abbandonata la convertibilità in oro del biglietto verde, ovvero dall’inizio degli anni Settanta, convivono con alti deficit della bilancia commerciale grazie alla «forza politica» della propria moneta. Il che ha rappresentato anche un vantaggio per i Paesi esportatori, Cina compresa.

Ma il clima adesso è cambiato, nuove potenze si sono affacciate sulla scena economica mondiale e anche dalla fine dell’egemonia del dollaro passa la costruzione di un ordine multipolare. Le prove generali già ci sono. E, ancora una volta, vedono protagonisti Russia e Cina. Sono sempre di più le aziende e le banche russe che utilizzano lo yuan per i pagamenti transfrontalieri.

Lo scorso 6 settembre, Gazprom ha reso noto, dal suo canto, che la Cina pagherà in rubli e yuan il gas che riceverà attraverso la pipeline Sila Sibiry. Cosa che già fanno in parte Turchia e India per il petrolio (in rubli). «Implementare l’istituzione di un sistema di pagamento in valute locali, nella marcia verso la “de-dollarizzazione” dell’economia», è stato il messaggio che Xi Jinping ha rivolto ai leader convenuti a Samarcanda. A ben vedere, la partita decisiva.

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