La fase nuova della guerra: escalation o trattativa?

 

Luigi De Biase il Manifesto 21 settembre 2022
 
 
Al voto come in Crimea. Putin spinge la guerra verso una nuova fase
 
 
I governatori di quattro province occupate indicono il referendum per andare con Mosca. Il mistero del discorso sparito dalla tv

 

 

A sette mesi dall’invasione dell’Ucraina Vladimir Putin sembra deciso a spingere la Russia verso una nuova fase di quella che le autorità ancora chiamano «operazione speciale», ma che nei prossimi giorni potrebbe diventare «guerra» a tutti gli effetti. I governatori di quattro province ucraine occupate, le province di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, hanno indetto un referendum per essere integrate nella Federazione russa, così com’era accaduto in Crimea nel 2014.

L’INIZIATIVA, è chiaro a tutti, viene direttamente dal Cremlino. Nelle stesse ore a Mosca la Duma ha approvato una serie di modifiche al codice penale per portare a dieci anni di carcere le pene previste in caso di diserzione.

L’ipotesi della mobilitazione generale parrebbe sempre più vicina. Eppure Putin non sembra ancora risolto a dichiararla. La Russia aspettava ieri sera un messaggio del presidente registrato nel pomeriggio che la tv di stato avrebbe dovuto trasmettere alle 20. Alle 22 non era ancora andato in onda. Il che alimenta i dubbi sulle reali intenzioni di Putin e del suo establishment, già duramente criticato per la sconfitta militare nel settore di Kharkiv di dieci giorni fa.

DAL PUNTO DI VISTA POLITICO lo scenario è molto simile a quello che si è verificato alla vigilia dell’invasione. Allora la Duma chiese a Putin di esprimersi sull’indipendenza di Donetsk e Lugansk. Putin prima convocò il Consiglio di sicurezza al completo, dopodiché firmò il decreto e concluse con le Repubbliche appena riconosciute un accordo di cooperazione militare. Quella è stata la premessa alla campagna militare partita il 24 febbraio. In modo analogo il Cremlino cerca oggi la più pomposa ed evidente legittimazione prima di procedere.

I movimenti alla Duma, seguiti dal calo del 10% delle quotazioni alla Borsa di Mosca, non sono stati gli unici preoccupanti in giornata. Nel corso della mattina Putin ha ricevuto i responsabili complesso militare industriale e ha avanzato due richieste: aumentare la produzione di armi e munizioni e sostituire «al 100%» l’import di componenti stranieri. Altro segnale, venuto questa volta dall’altra parte del confine, ma probabilmente concordato: in Bielorussia il presidente, Aleksander Lukashenko, avrebbe ordinato al ministero della Difesa si intraprendere le misure previste in caso di guerra. Tutto, insomma, è pronto per una nuova fase.

 

I LEADER DI DONETSK E DI LUGANSK sono stati i primi a comunicare la scelta di indire un referendum fra il 23 e il 27 settembre. È il secondo nella breve storia delle due regioni. All’altro, con cui le due città stabilirono il 14 maggio del 2014 la loro indipendenza, il governo ucraino rispose con una «operazione antiterrorismo» costata la vita a migliaia di civili. Ora si tratta di chiedere l’integrazione nel territorio russo. La reazione delle autorità di Kiev potrebbe essere ancora più dura. A Donetsk e Lugansk è seguita Kherson, alla foce del fiume Dnepr, nella parte meridionale del paese, conquistata dai russi nei mesi scorsi con la loro spinta verso Odessa. È un centro strategico, forse il più importante nei calcoli dello stato maggiore, perché permette di controllare l’accesso alla Crimea.

PER ULTIMO SI È ESPRESSO il governatore russo di Zaporizhzhia, Vladimir Rogov. Il suo appello merita particolare attenzione. La città, che contava 750.000 abitanti prima della guerra, è sotto il controllo dell’esercito ucraino. L’esercito russo occupa una parte significativa della provincia, compresa la centrale Energoatom, al centro da mesi di pericolosi scambi di artiglieria. I russi hanno fatto sapere che l’esito del voto riguarderà l’intero territorio. Il che, è chiaro a tutti, condurrà probabilmente a ulteriori rivendicazioni.

Le prossime ore saranno indispensabili per capire se il ricorso al referendum, e quindi la concreta minaccia di integrare altre terre ucraine e il rischio di una escalation sul piano militare, facciano parte di un tentativo più ampio, ancorché confuso, di fissare i cardini di una possibile intesa. «Credo che Putin voglia mettere fine alla guerra il prima possibile», ha detto a Samarcanda la scorsa settimana il presidente turco, Receep Tayyp Erdogan, dopo il vertice del gruppo del Shanghai.

IERI ERDOGAN ha avuto un lungo colloquio telefonico con il collega ucraino, Volodymyr Zelensky, al termine del quale ha chiesto a «tutti i paesi» di sostenere il suo sforzo diplomatico per «risolvere il conflitto». Anche il capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron, ha chiesto in serata di parlare con Putin. Non è chiaro se il tentativo abbia incontrato il favore russo. A questo punto Erdogan sembra l’unico leader ad avere aperto un canale per trattare.

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