Salotti e gruppi editoriali hanno contribuito alla nostra sconfitta

Salvatore Cannavò  il Fatto Quotidiano 27 settembre 2022
Bettini: il leader dem non sia scelto dai salotti
Congresso vero. L’ex consigliere del Nazareno chiede che non si facciano i soliti giochini su facce e organigramma. Poi: senza 5S non c’è prospettiva

 

Goffredo Bettini, storico dirigente del Pd, orgoglioso ex Pci, aveva avvertito dei rischi delle scelte elettorali fatte da Enrico Letta. Ora fa un bilancio di quanto avvenuto e di quanto avverrà.

Quanto la preoccupa la vittoria del centrodestra e su cosa in particolare?

Mi preoccupa molto. In Europa ci vorranno portare con i Paesi illiberali, Polonia e Ungheria; sui diritti tenteranno di tornare indietro; ancor di più sono allarmato riguardo ai problemi sociali e le future condizioni dei cittadini più fragili. La destra spesso maschera dietro sembianze popolaresche un nocciolo che è sempre lo stesso: difesa dei forti e oppressione dei deboli; ossequio alla ricchezza e disprezzo della povertà.

Perché avete perso, qual è stato l’errore principale?

Risposta complicata. Non c’è una sola ragione. Dopo quasi vent’anni, il Pd ha bisogno di un “tagliando” generale. Deve rilanciare la sua identità e una critica moderna della società contemporanea e del modello di sviluppo che ci domina. Va superato il timore di “toccare” il popolo, di attraversarlo. Abbiamo subito troppo i miti del liberismo e il fascino dei tecnici, dei tecnocrati, dei governisti a tutti i costi. Sono tendenze maturate nel corso di trent’anni. Vanno raddrizzate. Per questo è sbagliato gettarci in un improvvisato, superficiale e ipocrita gioco su nomi e organigrammi. Occorre attivare nuovo pensiero, cultura e competenze. Affermare una “autonomia” ideale dei democratici.

Condivide la strada tracciata da Letta per un congresso subito?

Letta ha condotto il Pd con molta dignità. Va rispettato e ringraziato per il servizio che ha svolto in un momento difficilissimo. Sarebbe codardo gettare la croce solo su di lui. Dopo questi risultati negativi, ha detto: “Congresso in tempi ragionevoli e io non mi ripresento”. Bene: che sia sulle strategie e non sulle facce. Non facciamoci scegliere il segretario, o la segretaria, dai gruppi editoriali e dal salotto italiano che, dopo aver ampiamente contribuito alla nostra sconfitta, vorrebbero pure dirci come e con chi superarla.

 E quindi un congresso subito?

In tempi ragionevoli. Un congresso vero serve come il pane. Anche per cambiare il partito: in alcune zone d’Italia, familistico, (li potere, eticamente debole, diviso e inviso a settori importanti dell’opinione pubblica. Dobbiamo attivare forme di democrazia diretta degli iscritti; che decidano in libertà le loro scelte e non per obbedienza torrentizia.

 Sbagliato non fare l’alleanza col M5S nonostante la rottura con Draghi?

Conte ha sbagliato a non dare la fiducia a Draghi in quel frangente. Tuttavia, aveva accumulato un contenzioso grandissimo, al quale il premier non ha dato risposte sufficienti. Aveva subìto anche le scissioni di Di Maio e di altri suoi dirigenti, accolte con simpatia da molti settori della stessa maggioranza cui dava sostegno. Era stato insultato, sbeffeggiato e incredibilmente sottovalutato. Anche il sottoscritto ha pagato per mantenere con lui il filo del dialogo. Quindi, probabilmente sì, siamo stati precipitosi nell’escludere ogni possibile ricucitura. Anche per una ragione “pratica”: senza il M5S, come si è visto ora, non resta alcuna altra prospettiva politica. Se non l’isolamento, che è stato determinante in senso negativo nella battaglia dei collegi uninominali.

 Il M5S ha dimostrato una sintonia popolare che il Pd non sembra avere. Voi come recuperate?

Il Pd è principalmente il partito dei ceti medi urbani, civili e progressisti. Conte è più penetrante nel popolo, trai diseredati. Il rapporto unitario è arricchente per entrambi. Ora occorre ricucire il campo largo per evitare che la destra debordi, per difendere la Costituzione, per non snaturare la Repubblica. E per ricostruire, con umiltà, le condizioni di una nostra rivincita.

E quale identità immagina per il Pd?

In poche parole: il partito del conflitto democratico; del riformismo che accorcia le distanze tra il privilegio e la dannazione; della autentica libertà, vale a dire la possibilità per tutti di trovare e godere il baricentro della propria anima; piuttosto che lo stordimento del consumo per il consumo. Un partito europeista: per un’Europa autonoma, dialogante con tutte le realtà umane nel mondo, con una propria difesa e politica estera, modello sociale, solidale ed emancipativo. Un partito affidabile, ma non dello status quo. Un partito che sappia intercettare la nuova umanità risorgente, giovanile e femminile, che si interroga sul futuro dell’ambiente, dell’organizzazione del lavoro, del decadimento della cultura. Che teme la solitudine crescente, ma pretende autonomia e libertà. Un partito che fa camminare insieme socialismo e cristianesimo.

 Ma alla fine rimanere legati a Draghi vi ha danneggiato?

Il presidente Mattarella ha salvato l’Italia in un momento di sbando nella quale l’aveva gettata Renzi, aprendo la crisi del Conte2. Fu una risposta d’emergenza in uno stato di eccezionalità. Troppi l’hanno voluta trasformare, snaturandola, in un modello e simbolo politico, addirittura in un punto di riferimento partitico. Ha spinto in questo senso il “Terzo polo”, anzi dopo i risultati di domenica, il “Sesto polo”. L’Agenda Draghi, lo stesso Draghi ha detto che non esiste. Su tutte le questioni fondamentali si è proseguito il lavoro del precedente esecutivo, nel quale il Pd è stato determinante. Forse abbiamo valorizzato poco i risultati ottenuti sulla pandemia, sulle risorse europee, sulla tenuta sociale, sulla crescita economica. È stato un errore dare l’impressione che prima di Draghi fosse tutto un fallimento e dopo, invece, una marcia trionfale. Bugia che ha danneggiato anche noi democratici.

 Cosa auspica per la segreteria del Pd?

In questa fase i nomi fanno solo confusione. Cosa serve? Una persona di sostanza più che di immagine. Formata sul campo, piuttosto che inventata dai media. Sobria e misurata, piuttosto che egocentrica e solitaria. Colta, perché ha letto più libri che giornali. Che sia in grado di presentare venti cartelle scritte, spiegando cosa vuol fare, piuttosto che vivere di continuo l’ebbrezza dei tweet.

 Si fa il nome di Elly Schlein, che ne pensa?

I nomi fanno solo confusione.

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