Ascese e debacle di Lega e Pd negli ultimi 30 anni

Nicolò Guelfi La Stampa 28 settembre 2022
 
I due grandi malati, Pd e Lega: i Dem crollati rispetto al 2008, il Carroccio perde 3,2 milioni di voti dal 2018
Destra e sinistra sono opposte in apparenza, ma sotto la superficie vivono entrambe una crisi profonda che viene da lontano

 

Due avversari storici e due visioni del mondo diverse, un unico percorso che porta al declino. Lega e Partito Democratico negli ultimi anni sono stati i due principali punti di riferimento dell’elettorato di destra e di sinistra in Italia e, nonostante le differenze specifiche, le ultime elezioni ne hanno sancito il fallimento progettuale e politico.

 

Un po’ di storia

La Lega, (nata come Lega Lombarda e poi Lega Nord) ha una lunga storia. Affonda le sue radici già nella Prima Repubblica e per tutta la sua prima fase è stata legata a doppio filo a Umberto Bossi, che fonda il movimento alla fine degli anni ‘80. Antisistema, prima autonomista e poi federalista, la Lega tenta il primo assalto alla politica nazionale come Lega Lombarda nell’87, fermandosi però allo 0,48% ma ottenendo i suoi primi due seggi al Parlamento: Umberto Bossi fu eletto al Senato (diventando da allora il Senatùr) mentre alla Camera subentrò Giuseppe Leoni. Le battaglie di Bossi sono incentrate sull’identità Padana, sull’autonomia regionale e sulla lotta contro il governo centrale di Roma (definita da lui «ladrona»).

Nel 1992, sull’onda dello scandalo di Tangentopoli, La Lega (divenuta Nord) supera l’8% sia alla Camera che al Senato, ottenendo 80 parlamentari complessivi, dopodiché nel ‘94 si allea alla neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi, ma i rapporti sono tutt’altro che rosei. Sei mesi dopo la scissione operata dal leader del Carroccio porta alla caduta del governo. La Lega, nel corso del ventennio berlusconiano, resta un partito di minoranza particolarmente radicato nelle regioni del nord-est (Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia).

Il cambio di passo avviene molto dopo: nel dicembre 2013 Matteo Salvini (iscritto al partito dal 1990 quando aveva 17 anni) viene eletto segretario federale del partito, subentrando a Bossi, ormai anziano, malato e travolto da vari scandali.

Salvini recupera alcuni temi cari al partito, ma opera una transizione importante: trasforma il partito da locale e federalista a nazionale e personale, cambiando il nome in “Lega per Salvini Premier”. L’operazione è un successo, la Lega passa dal 4% alle elezioni del 2013 al risultato più alto della sua storia: 17% nel 2018, divenendo il terzo partito più votato in Italia, dietro Pd e Movimento 5 Stelle e il più votato della coalizione di centrodestra, spodestando di fatto la leadership di Berlusconi.

 

Salvini accentra su di sé l’attenzione e le cariche, diventa ministro dell’Interno del governo Conte I e la sua parabola raggiunge il picco. Un anno dopo, nell’estate del 2019, esce dal governo invocando i «pieni poteri» con l’intento di andare a nuove elezioni. Tentativo che non riesce: i 5 Stelle si alleano con il Pd e nasce il governo Conte II, con una maggioranza parlamentare ancora superiore ma con molte polemiche.

Alle elezioni di domenica 25 settembre (le meno partecipate della storia della Repubblica) il Carroccio ha ricevuto un’amara sorpresa: si ferma all’8,9%, quasi dimezzando il numero degli elettori della precedente tornata (un’emorragia da 3,2 milioni di voti), superato a destra da Fratelli d’Italia, forse più radicale ma sicuramente più coerente.

Se le ragioni dell’ascesa del partito sono ascrivibili al suo segretario, anche il declino non trova altri imputati. Matteo Salvini aveva maturato un ampio consenso all’opposizione durante la XVII legislatura e durante la sua esperienza da ministro, ma dopo lo “strappo del Papeete” non è più riuscito a ripetere il miracolo.

Il partito è stato investiti da numerosi scandali, uno dei quali ha colpito anche Luca Morisi, capo della comunicazione social del politico (tanto potente da essere soprannominata “la Bestia”), indagato per possesso di stupefacenti. Il partito è stato riconosciuto colpevole della sottrazione illecita di ben 49 milioni di euro di soldi pubblici e lo stesso Salvini è stato indagato per sequestro di persona a causa delle leggi contro l’immigrazione da lui applicate.

Anche la gestione delle recenti crisi non ha convinto l’elettorato: la pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi energetica sono tutti temi in cui Salvini è inciampato più volte, cambiando spesso posizione. In più, la storica alleanza stipulata tra la Lega e Vladimir Putin non ha certo aiutato, come si è visto durante la visita del segretario in Polonia.

Nella conferenza stampa post elettorale, Salvini ha attribuito il crollo dei voti al fatto di aver fatto parte del governo Draghi, ma questo non basta: è stato annunciato il nuovo congresso federale della Lega dopo 5 anni, e la riconferma alla segreteria non è affatto scontata.

 

Il Partito Democratico: mille correnti, tante facce, poche idee

Mentre a destra gli alberi genealogici sembrano lineari e tutto sommato poco ramificati, la faccenda a sinistra è sempre stata più complicata. Nato a dicembre 2007 dalle ceneri dell’Unione di Romano Prodi, il Pd si è subito proposto come il grande partito che avrebbe riunito al suo interno i vari movimenti di sinistra balcanizzati che, dopo la diaspora del Pci e del Psi, avevano faticato a trovare una casa e assunse immediatamente il ruolo di maggiore forza politica all’interno del secondo Governo Prodi. Walter Veltroni, eletto segretario, l’anno successivo guida il partito alle elezioni, ma nonostante lo sforzo e l’alleanza con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro si ferma dietro il Popolo delle Libertà di Berlusconi (partito in cui era confluito Alleanza Nazionale, antenato dell’odierno Fratelli d’Italia).

Quel secondo posto resterà il migliore risultato per il centrosinistra: nel 2013 si forma uno schema tripartitico: La lista “Italia, Bene comune” guidata dal Pd arriva prima con il 29%, superando il centrodestra, ma il primo partito sono i 5 Stelle creati da Beppe Grillo. La XVII Legislatura vede 3 governi, tutti a guida Pd: Letta, Renzi e Gentiloni.

Nel 2018 il centrosinistra subisce un’ulteriore flessione: il centrosinistra si ferma al 22%, M5S (ancora solo) sfiora il 33% e il centrodestra arriva al 37%. Il Pd va al governo dopo lo scisma di Salvini dell’estate 2019 e lì resta anche con l’avvento del governo Draghi.

Alle ultime politiche il Pd si è fermato al 19%, perdendo 860 mila voti in 4 anni e mezzo e Letta ha annunciato che non si ricandiderà al prossimo congresso che si terrà in primavera. L’ultimo gradino di un declino lento ma costante.

 

Le cause della debacle

Le motivazioni dell’emorragia di voti sono sempre dovuti a una serie di concause, ma ci sono delle ragioni che pesano di più. Nel caso della Lega questa causa è il segretario. Salvini guida il partito ormai da 9 anni e, se a lui si deve la grande ascesa, non ci sono altri imputati per il crollo. Il Pd, nella stessa unità di tempo, ha cambiato 5 segretari, pur non riuscendo mai a invertire la rotta, fatta eccezione per il mandato di Matteo Renzi, dove i dem intascarono il loro maggior successo di sempre alle europee con il 40,81%. Di base, il partito raramente ha preso posizioni o intrapreso forti battaglie politiche, e anche quando lo ha fatto le ha comunicate con scarsa efficacia.

In sostanza, nell’ultimo decennio entrambi i partiti hanno faticato a rinnovarsi: la Lega ha cambiato posizione molte volte mantenendo il segretario, il Pd ha cambiato molte vole il segretario mantenendo le posizioni. Ora entrambi sono a un bivio e dovranno ricostruire il proprio consenso. Il leaderismo non basta da solo, ma anche una grande base senza guida rischia di disperdersi.

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