Salvini, verso l’Agricoltura, forse vicepremier

 

Ilario Lombardo, Francesco Olivo La Stampa 29  settembre 2022
 
Salvini a Meloni: “Senza Viminale io vicepremier e all’Agricoltura”
La Lega smentisce di voler minacciare l’appoggio esterno senza l’accordo sulla squadra. Bongiorno verso la Giustizia, sfida Rixi-Rampelli per le Infrastrutture. Sanità a Forza Italia

 

Il governo blu-verde-azzurro del futuro non è partito nel migliore dei modi. Non per Matteo Salvini che l’altro ieri ha appreso dalle agenzie dell’incontro tra il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani e Giorgia Meloni, mentre lui era a Milano, a processare i governatori leghisti in Consiglio federale.

Un’incomprensione e già tanti, troppi sospetti reciproci non sono la migliore delle premesse per organizzare il primo faccia a faccia tra il leader del Carroccio e la premier in pectore di Fratelli d’Italia. Salvini è irritato dalle ricostruzioni giornalistiche sulla volontà di Meloni di escluderlo dal governo o di marginalizzarlo in un ministero minore. Voci, gli ha spiegato la leader, che sono frutto di arbitrarie interpretazioni dei suoi fedelissimi. Quel che è vero è che dentro Fdi c’è una fronda preoccupata dall’inchiesta di Milano, non ancora conclusa, sugli incontri del 2018 al Metropol di Mosca del consigliere di Salvini, Giacomo Savoini, e dei presunti fondi russi dirottati in Italia.

Il capo della Lega arriva all’incontro a Montecitorio con l’idea di chiarire subito come stanno le cose. «Evitiamo di farci del male» dice. Meloni concorda. Tra i due c’è un più che un filo di imbarazzo. La leader di FdI lo sente. Il leghista è più bravo a dissimulare. Vuole farsi dire in faccia quello che tutti pensano e tutti dicono: il Viminale è sbarrato al leghista. E in effetti lei glielo dice: «Come sai, il presidente Mattarella non ce lo permetterebbe. Ci vuole un tecnico». Lo sa benissimo, Salvini. Ma gioca lo stesso sull’aspettativa.

I rapporti di forza del futuro governo sembrano scritti dalle distanze enormi tra i voti presi da FdI e quelli degli alleati di Lega e Fi. Ma l’ex ministro dell’Interno del governo gialloverde vuole far pesare i 95 parlamentari, più due ripescati (due di peso: Umberto Bossi e il segretario amministrativo Giulio Centemero), eletti in quota Carroccio.

La Lega smentisce che sia arrivato a minacciare l’appoggio esterno, come qualcuno dentro Fi teme. Certo è che non smobiliterà da due-tre richieste precise. La prima: i vicepremier, sul modello del governo gialloverde. Stessa proposta che il giorno prima aveva avanzato Tajani. Entrambi vogliono avere un piede a Palazzo Chigi. Ma Meloni ha più di qualche dubbio. Avere Salvini come uno dei due vice non sarebbe il migliore biglietto da visita con gli alleati, soprattutto chi da Washington sperava di vedere il leghista fuori dalla squadra.

La bozza di ripartizione delle poltrone di governo prevede uno schema che riflette il numero dei seggi ottenuti nella coalizione.  Salvini è stato favorito dagli uninominali e pretende che almeno uno dei cinque ministeri di prima fascia vada alla Lega. Tajani ha chiesto lo stesso e punta agli Esteri (o, come seconda scelta, alla Difesa). Salvini invece manderebbe Giulia Bongiorno alla Giustizia. Meloni dovrà avere comunque il via libera da Matterella. Nelle interlocuzioni di questi giorni con il Quirinale, ha già dato ampie rassicurazioni. «A partire dall’Economia avremo il massimo delle figure autorevoli».

In questo schema Salvini non avrebbe altra scelta che puntare a una delega minore, potenziata politicamente dal ruolo di vice. Ma non andrebbe a Trasporti e Infrastrutture come qualcuno, anche dei suoi uomini, ipotizzava. Preferisce l’Agricoltura, un ministero che riceverà una buona fetta dei fondi del Pnrr, molto radicato nei territori, che ti permette di viaggiare, come faceva quando era al Viminale, di interfacciarsi con le federazioni e le associazioni. Un posto dove si può continuare a fare politica, in veste di ministro.

Al Mit invece vorrebbe piazzare il ligure Edoardo Rixi, già sottosegretario nel primo governo Conte. Se la dovrà vedere con Fabio Rampelli, di Fdi, antico mentore di Meloni, tra i deputati più attenti alla questione della ex Alitalia.

Ieri un tweet di Guido Crosetto, cofondatore del partito di Meloni, ha scatenato mille retroscena sulla sua prossima destinazione. Crosetto ha annunciato di voler liquidare la società di consulenza che opera nel settore «perché nessuno possa fare illazioni», «ora che una mia amica conterà». Per lui dovrebbe essere pronto il posto da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ruolo delicato e cruciale, o alla Farnesina.

Meloni ha anche un’altra grana, oltre a Salvini. E si chiama Licia Ronzulli. Donna di fiducia del presidente di Fi Silvio Berlusconi, sconta un rapporto molto freddo con Meloni. Lei punterebbe alla Sanità, dove i forzisti preferirebbero recuperare il non eletto Andrea Mandelli, presidente dell’Ordine dei farmacisti di Milano.

Per incastrare tutte le caselle, però, la presidente di Fdi e gli alleati dovranno prima trovare un accordo sui presidenti di Camera e Senato, da eleggere subito dopo la prima convocazione dei parlamentari il 13 ottobre. Respinta la proposta di pacificazione di Meloni, che avrebbe voluto dare una delle due camere all’opposizione, La Lega ha chiesto la guida di Palazzo Madama per Roberto Calderoli. Ma la seconda carica dello Stato resta un obiettivo anche di Ignazio La Russa (Fdi) e di Anna Maria Bernini (Fi). I berlusconiani non escludono Tajani a Montecitorio, se non dovesse strappare la doppia carica di vicepremier e ministro degli Esteri. Mentre le chance di Giancarlo Giorgetti per lo scranno più alto della Camera dipendono da quanto Salvini vorrà fargli pagare la troppa fedeltà a Mario Draghi. Sembra però ormai certo che il numero due della Lega non entrerà nel governo.

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