L’antieuropeista Meloni concorda con Draghi la linea sul tetto europeo

 

Alessandro Barbera La Stampa 30 settembre 2022
 
Draghi-Meloni, strategia condivisa: “Sull’energia serve un fondo di solidarietà Ue”
 
Telefonata tra Palazzo Chigi e la leader di Fratelli d’Italia. Obiettivo: strappare nuove risorse a Bruxelles e aiutare famiglie e imprese

 

 

La telefonata è partita dal cellulare di Mario Draghi, destinataria Giorgia Meloni. Il senso della conversazione lo si può riassumere così: «Finché occuperò questa poltrona difenderò le ragioni dell’Italia e della linea tenuta sin qui in Europa». La decisione tedesca di un maxi-piano di aiuti nazionali contro il caro energia non ha sorpreso granché il premier uscente. Che fosse difficile convincere Berlino a una linea condivisa contro Mosca, Draghi l’aveva chiaro da mesi. L’uscita di scena dell’ex banchiere centrale ha dato a Olaf Scholz l’opportunità di smarcarsi dalla tenaglia stretta dall’asse dei Paesi mediterranei e soprattutto dalla pressione dell’intesa tra Roma e la Francia di Emmanuel Macron, a favore di una soluzione europea alla crisi del gas russo. La strategia si fondava su due pilastri: un tetto al prezzo del metano importato dalla Russia e un fondo di solidarietà europeo per affrontare le conseguenze del taglio delle forniture. Ma l’atavica paura della cancelleria tedesca di vedersi per questo azzerare l’energia dalla Russia sta avendo la meglio. La Germania non ha facile accesso a fonti di approvvigionamento alternative come l’Italia, ma può permettersi di spendere tutto quel che è necessario per affrontare l’emergenza. L’Italia no.

L’ironia della Storia ha voluto che Giorgia Meloni, una volta fervente antieuropeista, sia ora costretta ad abbracciare la strategia comune che Draghi ha imposto nell’anno e mezzo a Palazzo Chigi. La dichiarazione diffusa ieri sera dalla leader di Fratelli d’Italia non lascia spazio a dubbi: «Di fronte alla crisi epocale della crisi energetica serve una risposta immediata a tutela di imprese e famiglie. Nessuno Stato membro può offrire soluzioni efficaci e a lungo termine in assenza di una strategia comune, neppure quelli che appaiono meno vulnerabili sul piano finanziario. Per questo l’auspicio è che nel Consiglio europeo sull’energia di domani (oggi per chi legge, ndr) prevalgano buon senso e tempestività. Su questo tema di vitale importanza per l’Italia confido nella compattezza di tutte le forze politiche». Palazzo Chigi ci ha tenuto a precisare che la dichiarazione non sia stata concordata con Draghi, ma poco cambia. La sostanza è che i due sono perfettamente allineati.

Ieri sera, mentre le agenzie davano conto della telefonata, Roberto Cingolani era in volo verso Bruxelles, dove oggi avrà la riunione con gli altri ventisei colleghi europei. Poco prima di partire aveva avuto una lunga telefonata con Draghi. «Ora più che mai occorre tu spinga a favore di un tetto al prezzo del gas russo. E allo stesso tempo è importante difendere l’ipotesi di un fondo di solidarietà sul modello dei prestiti Sure». Draghi avrebbe voluto discuterne oggi al vertice dei nove Paesi mediterranei dell’Unione ad Alicante. Il tampone positivo al Covid del padrone di casa – il premier spagnolo Pedro Sanchez – ha fatto saltare i piani. Draghi ci proverà ancora al vertice di Praga della prossima settimana. All’appuntamento successivo – il 20 ottobre – potrebbe essere già l’ora di Giorgia Meloni.

Le probabilità di avere la meglio sono sempre più basse. Ma quella per lei resta l’unica speranza a cui aggrapparsi. Se la speranza svanisse, nel giro di poche settimane dovrebbe fare i conti con le conseguenze di quel fallimento. Da settimane i contatti fra Palazzo Chigi e la prima linea del partito della Meloni sono frequentissimi. Ieri mattina una dichiarazione di uno dei luogotenenti – Fabio Rampelli – aveva anticipato la posizione della Meloni citando la necessità di un fondo di solidarietà europeo. Se il fondo non nascerà, il nuovo governo dovrà fare da solo. Per affrontare la crisi, Berlino ha deciso di stanziare fino a 200 miliardi di euro. Non solo per dare sostegno a famiglie e imprese, ma anche per evitare il fallimento delle aziende energetiche colpite dalle oscillazioni dei prezzi del gas sul mercato dei derivati. «A loro gli si concede ciò che a noi verrebbe negato. Godono di una sostanziale immunità», dice una fonte ministeriale che maneggia i dossier energetici. Non solo: quel che ha stanziato la Germania vale tre volte tanto quel che l’Italia ha speso dall’inizio della guerra in Ucraina, quando però i tassi di interesse erano molto più bassi degli attuali. Dal momento in cui si insedierà, il primo pensiero della Meloni dovrà essere la Finanziaria per il 2023. Per uscire senza danni dall’inverno del ricatto russo occorreranno fra i quindici e i venti miliardi. Per fare di più, per investire quanto necessario a evitare una possibile recessione, la Meloni sarà costretta a tagli di spesa. Se scegliesse di fare nuovo deficit, i rendimenti dei titoli di Stato italiani salirebbero rapidamente, e finirebbero per metterle un cappio al collo prima di aver superato il primo Natale a Palazzo Chigi. Oggi più che mai, alla Meloni non resta che una responsabile continuità istituzionale a Draghi. A meno di non aprire un pericoloso fronte con tutta l’Unione, e correre il rischio di restare isolata.

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