Massimo Recalcati La Repubblica 30 settembre 2022
Il nuovo lessico per rifondare la Sinistra
Perché le sue parole sono apparse più che mai disossate, senza anima, anemiche? E da dove partire per dare un altro senso a termini come famiglia, identità, patria, che sono le parole d’ordine della Destra?
Il carattere sempre più de-ideologizzato del voto è il fondamento dei grandi spostamenti elettorali verificatesi negli ultimi anni del nostro Paese. La fedeltà ad un ideale o ad una causa non esiste più. In ogni elezione viene tendenzialmente premiato chi rappresenta il nuovo, il difforme, la deviazione rispetto alla politica vissuta come un mondo separato dal mondo e moralmente degradato. Prima di Meloni è stato il turno del M5S e di Salvini e prima ancora di Renzi e di Berlusconi. Incarnare agli occhi degli italiani la dimensione immacolata dell’opposizione, dell’outsider, della critica al sistema, ottiene una fiducia fondata più sul giudizio di condanna della politica istituzionalizzata che sui contenuti del programma proposto. Con l’aggiunta che la crescente diserzione delle urne rivela chiaramente il disagio dei cittadini nei confronti di una classe politica accusata di essere del tutto indifferente alla loro sorte.
In questo contesto che ho recentemente definito, in estrema sintesi, come quello dell’evaporazione della politica, cosa resta della sinistra? Perché le sue parole sono apparse più che mai disossate, senza anima, anemiche? Queste elezioni hanno mostrato innanzitutto come l’antitesi fascismo-antifascismo che aveva ispirato il conflitto politico nel nostro Paese sino al ventennio berlusconiano compreso, sia irreversibilmente tramontata. Se gli italiani hanno votato per Giorgia Meloni non significa che essi desiderino il ritorno del fascismo, ma, al contrario, che non lo considerino affatto possibile. Ne consegue che il grande collante dell’antifascismo non è più sufficiente a definire l’identità politica e culturale della sinistra. È quello che il Pd non ha compreso sino in fondo impostando tutta la campagna elettorale sulla scelta dilemmatica, anche simbolica, tra il rosso e il nero.
È indubbio che le parole d’ordine della Destra (Dio, Patria e Famiglia) appaiano vincolate ad una ideologia patriarcale al tramonto. Ma è altrettanto indubbio che nei tempi di grande crisi e di smarrimento collettivo la conservazione degli ideali consolidati offre un rifugio apparentemente sicuro: difesa degli interessi nazionali, presidio dei suoi confini, tutela dell’ordine sociale. Quello che Freud ha definito una volta “nostalgia del Padre”. Ma non è solo con questa nostalgia che la Destra ha vinto le elezioni. Piuttosto con la coerenza della sua opposizione di fronte ad una sinistra che ha invece governato per lungo tempo sacrificando in questo sforzo, in più occasioni, la propria identità ideale.
Ma cosa resta oggi di questa identità? Per esempio, quale idea alternativa di Dio, di Patria e di Famiglia la sinistra nutre? Quale Dio, innanzitutto? Essere di sinistra dovrebbe significare contrastare ogni forma di fanatismo compreso quello che fu storicamente e, purtroppo, continua spesso ad essere, espressione deleteria della versione più ideologica e autoritaria della sinistra stessa. Significa, per esempio, rinunciare all’idea “religiosa” di una sua superiorità morale riconoscendo piena dignità politica dei propri avversari. Ma significa soprattutto credere nella ricerca, nell’istruzione, nel pluralismo contro ogni forma idolatrica di dogmatismo. Ma perché in questa campagna elettorale non c’è stato nessun pensiero profondo da sinistra sulla scuola se non quello, tra l’altro condivisibilissimo, del tempo pieno e dell’aumento dello stipendio degli insegnanti? La prima parola di un nuovo lessico della sinistra dovrebbe essere quella di “cultura” come apertura della vita alla differenza delle lingue.
E quale sarebbe poi la nostra idea di Patria? Il destino dell’Italia coincide con quello dell’Europa. I grandi problemi del lavoro e dell’ecologia, per non parlare di quelli di politica estera, vanno iscritti necessariamente in questo orizzonte. La patria non si può identificare con il suolo e con il sangue. Senza pensare all’allargamento dei nostri confini l’idea stessa di vita nazionale rischia di morire non solo politicamente, ma anche economicamente. Europa non significa però la violenza della globalizzazione, né un atlantismo passivo privo di iniziativa autonoma. È in grado la sinistra di ripensare radicalmente l’Europa come nuova patria?
Infine, quale Famiglia? Nella cultura della sinistra la famiglia è innanzitutto un legame che si istituisce sul libero fondamento dell’amore. I conservatori evocano la necessità di una mamma e di un papà seguendo stereotipi retorici, ma l’esperienza clinica con le famiglie ci ricorda che per creare un legame famigliare fecondo per la crescita di un figlio la condizione eterosessuale dei genitori non è né necessaria, né sufficiente. Pensare il legame familiare da sinistra significa emanciparlo dalla logica materialistica della biologia: senza amore e senza cura non c’è ambiente familiare sufficientemente buono. Lo stesso dicasi per il grande tema dell’identità sessuale. Su questo la psicoanalisi insegna da tempo che il sesso non è solo un dato anatomico, ma una scelta inconscia del soggetto che può anche divergere dall’anatomia.
Pensare la famiglia significa anche pensare più in generale il legame sociale. Qui sarebbe necessaria una profonda rettificazione lessicale: il richiamo all’accoglienza, all’inclusione e alla solidarietà senza la sicurezza e la tutela delle nostre città, è divenuta una retorica ideologica vuota e insostenibile. Allo stesso modo nessuno da sinistra, almeno in questa campagna elettorale, ha osato porre con forza la centralità di una legge sul fine vita. Battaglia di civiltà che è necessario imporre nell’agenda politica del nostro Paese. Sarebbe uno dei presupposti etici fondamentali per un nuovo lessico della sinistra: come la vita biologica non può essere l’ultima parola sulla vita della famiglia o sull’identità del sesso, allo stesso modo il respiro della vita non può essere confuso con la sopravvivenza a tutti i costi della vita. Donare la morte può essere, infatti, un modo, in una situazione di estrema sofferenza e disperazione, per rispettare la vita sino alla sua fine.