Nativi dem, magari uno estratto a sorte

Stefano Cappellini La Repubblica 5 ottobre 2022
Giovani, amministratori locali, militanti: cinque volti nuovi per il Pd. “Assurdo sciogliere il partito, siamo nativi dem”
Hanno conquistato il consenso sul territorio e criticano le scelte delle ultime politiche: “Ora un nuovo Lingotto basta dibattiti lunari”

Se il Partito democratico ha 15 anni di vita, loro non molti di più. Sono i nativi democratici, data di nascita negli anni Novanta, e sono già sindaci, consiglieri comunali o regionali, segretari cittadini. Hanno cominciato presto a fare politica, facendo una scelta poco comune tra i coetanei, prendere la tessera di un partito. Non sono polli di batteria, hanno tutti sperimentato la ricerca e la conquista del consenso sul territorio, pratica ormai sconosciuta a molti dei loro padri e fratelli maggiori, abituati da qualche lustro a planare in Parlamento nel comodo dei listini bloccati. Spesso il Pd restituisce un’immagine legata ai capibastone e alle cordate di potere, tutto drammaticamente vero, poi però sul territorio ci sono anche loro e ne abbiamo scelti cinque rappresentativi di decine di altri: hanno idee chiare su cosa fare per rilanciare il partito e anche su cosa non fare. Cambiare nome e simbolo, per esempio.

Un dibattito suggestivo, forse, per chi ha vissuto altri momenti della storia della sinistra italiana, ma che a questi ragazzi e ragazze appare nella migliore delle ipotesi una scorciatoia per non affrontare i veri problemi. «Mi sembra un dibattito assurdo», dice Andrea Furegato, 25 anni, cintura nera di karate ma soprattutto sindaco di Lodi da giugno. Un’opinione condivisa da Giacomo Possamai, vicentino, 32 anni, iscritto da quando era minorenne, oggi capogruppo del Pd in Consiglio regionale dopo aver preso 12 mila preferenze: «Il nostro vizio quando le cose vanno male è che oscilliamo sempre tra gli estremi, o far finta di nulla o abbandonarsi a psicodrammi che precludono ogni lettura razionale. Il Pd ha perso ma ha il 19 per cento, è il secondo partito del Paese, l’idea di scioglierlo è lunare».

Avrebbero tutti gioco facile, i nativi dem, a cavalcare anche il tema dell’azzeramento del gruppo dirigente. Ma anche su questo l’approccio non ha la furia delle crociate social. Dice Edoardo Accorsi, 27 anni, sindaco di Cento, nel ferrarese, strappata esattamente un anno fa al centrodestra: «Non sono un fan del giovanilismo, il valore delle persone non si stabilisce sulla carta di identità. Al tempo stesso non possiamo pensare che il rinnovamento dello schema di gioco non passi anche dal cambiare i volti dei giocatori». Accorsi, che nel frattempo non ha più la tessera del partito («Sono uscito ai tempi di Renzi, non mi piaceva la rottamazione», spiega), aggiunge: «Serve la credibilità necessaria per rimettere al centro chi ci è stato meno, i lavoratori e le lavoratrici».

Laura Sparavigna, 29 anni, consigliera comunale a Firenze, in politica anche lei da minorenne, è stufa delle quote calate dall’alto: «Quello che va evitato – dice – è l’effetto Panda, i giovani e le donne usati come presenze coccolose nelle prime file dei convegni. Bisogna promuovere davvero la partecipazione e la rappresentanza. Viviamo in una società dove, tra gli under 40, quattro su dieci sono lavoratori autonomi, e la media dei salari degli under 35 è 870 euro al mese. No, dico, 870 euro! Forse a chi vive questa realtà non abbiamo saputo parlare nel modo giusto. Ma le ragioni dell’esistenza del Pd e del suo rilancio io le vedo tutte».

Marta Cappelli, 27 anni, segretaria dem e consigliera comunale a Scarperia e San Piero, Mugello, bibliotecaria e archivista tirocinante, la vede così: «Bisogna ripartire da welfare e ascensore sociale. Pochi giorni fa a Firenze è morto un rider di 26 anni, ai giovani è chiesto di sopravvivere in una società che ti mette in grande difficoltà. Si deve parlare con le persone, risolvere i problemi, sempre, non solo sotto campagna elettorale. Riconoscere che non siamo i migliori in assoluto, che si può sbagliare e che talvolta abbiamo peccato un po’ di presunzione».

Tutti ammettono che c’è del vero in una delle accuse più frequenti mosse ai dem, cioè di essere diventati negli anni sempre più il partito dei ceti benestanti, delle ztl, le zone a traffico a limitato delle città. Ma guai, aggiungono, a trasformarlo in un luogo comune. Sostiene Accorsi: «Anche in un piccolo centro come quello che amministro c’è differenza tra chi vive nel comune principale e chi sta nelle frazioni di campagna. Bisogna starci, nei territori periferici, trasmettere il messaggio: siamo qui per voi. E serve l’approccio del maratoneta più che del centometrista». «In questo l’opposizione non può che farci bene», dice Possamai, che lavora in zone mai troppo generose con i dem alle Politiche: «Qui la scelta decisiva è sempre su impresa e lavoro e ancora non siamo percepiti come del tutto affidabili».

Tutti hanno qualcosa da recriminare sulle liste dem. Dice la fiorentina Sparavigna: «Non si fanno le parlamentarie dal 2013, serve eterogeneità nella rappresentanza e non è stato bello vedere i leader che non correvano negli uninominali». Il sindaco di Lodi: «Da troppo i cittadini non hanno più modo di scegliere i loro parlamentari. E ovviamente le correnti non hanno interesse né a fare elaborazione teorica né a selezionare candidati con un consenso radicato». Cappelli: «In queste elezioni si è visto chiaramente dove c’erano candidati radicati sul territorio e dove no. Mi dispiace che siano state messe da parte figure che hanno fatto molto per tradurre in atti concreti i valori del Pd, come Giuditta Pini o Filippo Sensi, la loro assenza dal futuro Parlamento ci sconcerta».

C’è condivisione sul fatto che non è l’ora di mettersi a scegliere gli alleati né di tifare per questo o quel candidato segretario. Furegato: «Della missione per cui è nato il Pd io non vedo meno ragioni di prima ma ancora di più. Però dobbiamo smetterla di parlare di noi stessi e del nostro ombelico, di centro, di sinistra e di centro trattino sinistra, questioni che interessano poco e niente ai cittadini. Bisogna concentrarsi sui gravi e impellenti problemi che colpiscono le nostre comunità, come il caro bollette provocato dalla guerra». La sfida lanciata da Conte sul pacifismo, o presunto tale, fa dire a Possamai: «Sono orgoglioso che il Pd, spesso accusato di non prendere posizioni nette, l’abbia fatto su un tema come l’Ucraina». Sparavigna: «Sogno un nuovo Lingotto un percorso costituente che rilanci tutte le nostre ragioni». Il sindaco di Cento: «L’importante è che non usiamo il congresso per un fine gattopardesco. Scelte chiare e opposizione fatta bene». Cappelli: «Molti giovani sono disillusi, durante la campagna elettorale dicevano: tanto non cambia niente. L’ho pensato anche io per tanto tempo, fare politica è più faticoso che mettere mi piace sui social ma è ancora il modo migliore per far sentire la propria voce».

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